Nel 2020 flussi di lavoro contratti e irrigiditi, -30% per le assunzioni

Nell’anno pandemico i flussi riguardanti tutte le tipologie di rapporti di lavoro si sono contratti, irrigiditi. Le assunzioni hanno subito una contrazione attorno al 30%, arrivando a sfiorare il 40% per intermittenti e apprendisti. Le trasformazioni sono diminuite del 21% e le cessazioni sono calate mediamente del 25%, con livelli più elevati in particolare per l’apprendistato (-31%) e per il tempo indeterminato (-29%), vale a dire per le tipologie contrattuali più interessate dal blocco dei licenziamenti e dal ricorso contestuale alla cig Covid. Sono alcuni dei dati che emergono dalla lettura del XX Rapporto annuale Inps, presentato oggi alla Camera dei deputati. 

Nel complesso, considerando tutte le tipologie contrattuali, a fine febbraio 2021 i posti di lavoro dipendente presso le aziende private risultavano diminuiti di 37.000 unità rispetto allo stesso momento dell’anno precedente.
 

Secondo i dati dell’Istituto nel corso del periodo pandemico le aziende operanti con dipendenti sono state circa 1,5 milioni. 

Nel periodo pandemico tra marzo 2020 e febbraio 2021 i rapporti di lavoro a tempo indeterminato hanno registrato un saldo positivo di +224 mila unità, effetto del ricorso alla cig e del blocco licenziamenti nonché delle assunzioni nei settori comunque con andamenti positivi.  

Le restanti tipologie di rapporti di lavoro segnano una flessione di 261 mila unità. E un’analisi per genere evidenzia un saldo positivo per gli uomini +44 mila e una flessione per le donne -81 mila unità.  

Secondo l’Inps, inoltre, i flussi di assunzioni, trasformazioni e cessazioni si sono irrigiditi determinando una flessione delle posizioni di lavoro pari a −37 mila unità. Le assunzioni sono diminuite mediamente del 30%, le trasformazioni del 21% e le cessazioni del 25%. 

La Naspi mostra un trend negativo rispetto al 2019 in quanto il blocco dei licenziamenti ha ridotto gli ingressi nella condizione di disoccupazione: rispetto al 2019 i beneficiari a seguito di licenziamento, che nel 2019 erano 811.000, sono divenuti 654.000, mentre è aumentata leggermente la componente proveniente dai cessati nei contratti a termine (da 1.656.000 a 1.723.000).
 

Concentrando l’attenzione sulle aziende stabilmente attive in tutti e dodici i mesi tra marzo 2020 e febbraio 2021, che sono circa 1,3 milioni, si osserva che il 43% di esse non ha mai utilizzato la cig.  

A febbraio 2021 sono poco meno di 280mila le aziende con lavoratori in cig.  

Ad aprile 2020 il numero di aziende in cig è pari a 781mila (pari al 54,3% del totale). Il numero varia nel corso dei mesi scendendo a 170mila aziende tra agosto/settembre, mentre in coincidenza della seconda ondata si registra una nuova crescita con circa 300mila aziende tra novembre/dicembre. 

Il 18% di esse poi ha fatto ricorso alla cig solo nella primavera del 2020 e ha usato 192 milioni di ore.  

Il 17% l’ha utilizzata anche in altri mesi del 2020 per un totale di 514 milioni di ore. E il 23% ha usato la cig anche nei primi mesi del 2021 per un numero di ore pari a 1,373 milioni. 

Le imprese che nel periodo pre-Covid godevano di una minor liquidità e di una peggior redditività sono contraddistinte da un’intensità di ricorso superiore alla cig Covid-19.  

Il capitolo si interroga anche sulle strategie di utilizzo interno della cig, andando ad indagare la scelta dell’impresa di equidistribuire la perdita salariale associata all’utilizzo della cig Covid-19 tra i lavoratori oppure di concentrarne l’utilizzo solo su alcuni gruppi. A fronte di una concentrazione piuttosto elevata (con un indice di concentrazione di Gini della quota individuale di ore Cig nell’impresa pari a 0.51), si evidenziano differenze legate ad alcune caratteristiche aziendali: all’aumentare dell’instabilità lavorativa e della dispersione dei salari nell’impresa cresce in modo rilevante la concentrazione delle ore di utilizzo cig Covid -19. 

Allo scopo poi di comprendere quali lavoratori hanno maggiormente sofferto la riduzione salariale associata alla misura, si analizza l’intensità del ricorso a livello individuale. Tra i risultati di maggiore rilevanza emerge che l’intensità a livello individuale diminuisce in modo sostanziale al crescere del salario del lavoratore, della sua anzianità aziendale, e dell’esperienza lavorativa, mentre aumenta al crescere dell’età del lavoratore, soprattutto per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato. Il capitolo indaga altresì il ruolo svolto dagli ammortizzatori Cig Covid-19 nel contrastare le perdite salariali e l’amplificarsi delle diseguaglianze, mostrando come questi sussidi abbiano permesso di attenuare sensibilmente le perdite economiche di segmenti più deboli della forza lavoro occupata.  

Considerando il gruppo di lavoratori che hanno avuto esperienza almeno di un evento Cig Covid-19 nell’anno, si mostra che in assenza del sostegno derivante dagli ammortizzatori, l’imponibile contributivo mediano per i lavoratori coinvolti in Cig Covid-19 sarebbe diminuito del 60% (da circa 1.700 euro a febbraio 2020 a 680 euro nel successivo mese di aprile), mentre considerando l’imponibile compensato da eventi figurativi, la perdita si riduce al 34%.  

Per quanto riguarda la disuguaglianza, l’indice di Gini calcolato sulle retribuzioni da lavoro dipendente, pari a 0.29 nei mesi di gennaio e febbraio, sarebbe aumentato da 0.42 a marzo a 0.56 ad aprile.  

Grazie invece alla Cig Covid-19, l’indice di Gini aumenta in misura decisamente più contenuta, fino a raggiungere il valore di 0.43 ad aprile. Confrontando gli indicatori di diseguaglianza con l’ipotesi controfattuale di assenza di alcun ammortizzatore, la disuguaglianza aumenta del 48% anziché del 93%, indicando che lo strumento di welfare è riuscito a dimezzare l’impatto della crisi pandemica sull’aumento della disuguaglianza dei redditi. Inoltre, è interessante notare come la compensazione dovuta agli ammortizzatori sia maggiore per categorie fragili del mercato del lavoro, come le donne e i giovani. 

I posti di lavoro preservati con il blocco dei licenziamenti nel periodo marzo 2020-febbraio 2021, rispetto alla fisiologia del mercato del lavoro come documentata dai dati statistici disponibili, possono essere valutati in circa 330.000 e per oltre due terzi riconducibili alle piccole imprese (fino a 15 dipendenti).  

Secondo l’Istituto “si tratterà ora di vedere come evolverà tale saldo al seguito della rimozione del blocco dei licenziamenti. Va tenuto conto che negli anni precedenti la pandemia i licenziamenti di natura economica superavano il mezzo milione all’anno, a fronte tuttavia di una dinamica positiva di assunzioni”. 

Il numero complessivo di assicurati Inps nel 2020 è stabile, si registra invece una contrazione nel numero medio delle settimane lavorate che passa da 42,9 a 40,1, che corrisponde ad una riduzione di input di lavoro del -6,5%. Il volume complessivo degli assicurati, infatti, nel 2020 non è diminuito, attestandosi a 25.546 milioni, valore praticamente identico a quello del 2019.  

Secondo l’Istituto, invece, una parte significativa del calo dell’input di lavoro si è scaricata sulla componente straniera, in riduzione significativa durante il 2020. L’invarianza del numero degli assicurati si accompagna ad un turn-over di cancellazioni e nuove iscrizioni non trascurabile di circa 2 milioni di persone, di cui una componente significativa data dai nuovi iscritti a seguito nel bonus baby-sitting (431.000 nuovi assicurati). Secondo i dati Inps, per i lavoratori subordinati diminuiscono sia il numero (- 1,6%) sia le settimane lavorate (- 6,6%). In particolare si riducono i dipendenti di imprese private (-2,7%) e gli operai agricoli (-2,4%).  

Crescono i dipendenti pubblici (+1,5%) e i domestici (+7,1%), crescita quest’ultima, sottolinea l’Istituto, probabilmente dovuta a una sorta di regolarizzazione per giustificare gli spostamenti durante il periodo del lockdown. I lavoratori indipendenti al netto del bonus baby-sitting decrescono del -2,3%. Sono aumentate le uscite: da 1,8 milioni di lavoratori nel 2019 a quasi 2 milioni nel 2020. Gli ingressi del 2020 hanno consistenza analoga alle uscite, il 22% (431 mila) sono riferiti al bonus baby-sitting. 

La cassa integrazione guadagni ha visto aumentare con i provvedimenti in deroga le uscite, infatti, salite da 1.4 nel 2019 a 18.7 miliardi nel 2020, un aumento superiore al 1000%, a seguito dell’aumento del numero dei beneficiari, passati da 620.000 a 6.7 milioni, con un valore medio pro capite della prestazione pari a 2.788 euro. Secondo Inps si è trattato di un fenomeno diffuso nell’insieme dei lavoratori, se si considera che i dipendenti in cassa a zero ore, inizialmente pari alla metà nel primo lock-down (45% in aprile 2020) sono calati come incidenza al 9% (novembre 2020) fino a raggiungere il 7% (febbraio 2021).  

Insieme al dato sulla persistenza individuale (metà dei dipendenti è stato in cassa per un massimo di tre mesi), questi dati ci dicono, spiegano da Inps, che la recessione appare contemporaneamente come generalizzata e transitoria, dal momento che il gruppo di dipendenti per i quali la sospensione dal lavoro risulta massiccia è minoritario ed è identificabile come il gruppo collocato in cig per almeno 10 mesi e con una quota complessiva di cig superiore al 60% delle ore lavorabili: si tratta di 310.000 dipendenti, per i quali il numero di ore integrate nel periodo osservato ha superato quota 1.000. 

Se ci focalizziamo sulle aziende stabilmente presenti negli ultimi due anni (1.267.000 imprese) il 43% (541.000) non ha mai usufruito di cig il 18% (227.000 imprese) ha ricorso alla cig esclusivamente nella fase più severa del lock-down nella primavera 2020 e il 17% (211.000 imprese) ha avuto qualche trascinamento comunque esauritosi nel corso del 2020. Vi è quindi un residuo 22% (288.000 imprese, che corrisponde al 26.5% dell’occupazione) che agli inizi del 2021 faceva ancora ricorso alla cig e non era riuscito ancora a risollevarsi dalla crisi pandemica. 

In corrispondenza col calo dell’input lavorativo si registra un calo dei redditi da lavoro: l’imponibile previdenziale è calato di circa 33 miliardi scendendo da 598 miliardi nel 2019 a 564 miliardi nel 2020 (-5.6%). In valore assoluto la contrazione più rilevante è stata quella dei dipendenti privati (da 369 a 340 miliardi, pari al -7.9%), mentre per gli autonomi il calo è stato pari al -6.0%. E’ uno degli aspetti che emergono dal XX Rapporto Annuale Inps. 

Gli eventi del 2020 hanno inciso pesantemente sulla dinamica delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti: le retribuzioni dei dipendenti si riducono del 4,3% pari a una perdita di circa 1.000 euro, effetto della flessione delle giornate retribuite direttamente dal datore di lavoro.  

Più contenuta la flessione delle retribuzioni degli operai agricoli pari all’1,9%, anche in questo caso effetto dovuto alla riduzione delle giornate lavorate.  

Le retribuzioni dei domestici si riducono del 7,5%, effetto legato alla forte crescita delle durate parziali (sotto le 24 settimane nell’anno) e con orario settimanale inferiore a 24 ore. 

(Adnkronos)