“Lo strumento del Rdc è stato un importante elemento di contrasto alla povertà che ha rinforzato quanto già il ReI prevedeva ampliandone le risorse. Da questo punto di vista restano necessarie modifiche che ne amplino la platea che ad oggi esclude ancora ampie fette di povertà, in particolare straniera e legata alle famiglie numerose”. Lo dice ad Adnkronos/Labitalia Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt. “Non ha funzionato invece -sottolinea l’esperto- la seconda gamba, quella relativa alle politiche attive del lavoro, perché si innestava su un sistema di politiche che già non funzionava senza prendersi l’onere di rinnovarlo”. “Si tratta di una grave pecca -aggiunge Seghezzi- che andrebbe risolta all’interno di un più ampio rinnovamento delle politiche attive che non possono essere rivolte soltanto a chi ha i requisiti per accedere al RdC”.
Politiche attive, sfida principale per mercato lavoro
In Italia di fatto non sono mai partite le politiche attive per il lavoro. Per Seghezzi, “quella delle politiche attive è la sfida principale per un mercato del lavoro in cui le transizioni tra diverse fasi occupazionali (contrattuali, formative, di assistenza ecc.) sono più normali del solito, come la pandemia ci ha drammaticamente ricordato e confermato. “L’implementazione del piano Gol dovrebbe passare per una forte spinta alla personalizzazione dei servizi offerti sia dal pubblico che dal privato (che non viene ancora pienamente considerato come attore centrale in questi processi) su base territoriale per rappresentare le singole esigenze dei lavoratori che vogliamo riqualificare (a partire dalla motivazione in questa direzione, che spesso manca), dice Seghezzi.
“Nuovo blocco licenziamenti? Non è priorità”
Parlando poi dell’ipotesi di un rinnovo del blocco dei licenziamenti, Seghezzi è deciso: “I dati disponibili sui licenziamenti dopo luglio ci dicono che non c’è stata l’ecatombe più volte annunciata al termine della prima fase di sblocco, non credo quindi che oggi questa sia la priorità”. “Occorre piuttosto occuparsi delle persone più colpite dalla pandemia (principalmente donne e giovani) anche mentre il blocco era attivo. In particolare segnalo che la quasi totalità di occupati persi da febbraio 2020 è composta da lavoratori autonomi che dovranno essere riassorbiti nel mercato del lavoro magari con diverse forme contrattuali e che necessitano di orientamento e riqualificazione nell’ambito di complesse transizioni occupazionali”, sottolinea l’esperto.
Pensioni, modello Quote non risolutivo
Pensioni: per i giovani poco cambierà purtroppo, se il governo sceglierà Quota 102 o 103, spiega ad Adnkronos/Labitalia Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt: “Le preoccupanti dinamiche demografiche che già modellano la struttura anagrafica della forza lavoro (e che ancor più la modelleranno nel futuro) -osserva Seghezzi- dovrebbero far capire che immaginare quote per tutti in determinate combinazioni contributive e anagrafiche significhi scommettere contro le future generazioni”. “Occorrerebbe invece aprire un serio dibattito sulla sostenibilità del lavoro, -sottolinea l’esperto- anche in età avanzata e, parallelamente, individuare con ragionevolezza e criteri chiari e non soggetti a sotterfugi politici, forme di flessibilità per lavori che non si ritengono sostenibili, ma con l’obiettivo di lavorare appunto per la sostenibilità per tutti nel futuro”. (di Mariangela Pani)