Amiloidosi, al via campagna su ‘campanelli d’allarme’

Il cuore ricorda, conserva le emozioni e le sfide di una vita ma può accumulare anche sostanze nocive, sostanze come l’amiloide. E se di tanto in tanto compare l’affanno, un capogiro o perde un battito, bisogna saperlo ascoltare perché il cuore ci sta dicendo che qualcosa non va. Allora è il momento di registrare i campanelli d’allarme, monitorarli, rivolgendosi al medico di famiglia e informarsi su una malattia che prende il nome di amiloidosi cardiaca. È questo il concept, che segue il filo della nostra vita, della campagna “Il cuore lo sa – AMIloidosi cardiaca: Ascolta, Monitora, Informati”, promossa da Pfizer con l’egida della Società italiana di Cardiologia (Sic) e in collaborazione con Fondazione italiana per il cuore, fAMY Onlus e Conacuore ODV.  

L’iniziativa – riferisce una nota – nasce per informare e sensibilizzare l’opinione pubblica sull’amiloidosi cardiaca, aumentando la conoscenza e la consapevolezza sui sintomi della malattia, favorendo la loro identificazione precoce, la diagnosi tempestiva e indirizzando i pazienti ai Centri di riferimento specializzati. Inoltre, un video in animazione veicolato sui social e sul sito www.pfizer.it/il-cuore-lo-sa racconterà l’impatto della patologia e i messaggi della campagna in modo empatico ed emozionale. 

L’amiloidosi cardiaca è una malattia rara, legata all’accumulo nel muscolo cardiaco di una sostanza detta amiloide, che forma fibrille insolubili che nel tempo si depositano negli spazi tra le cellule cardiache e ne compromettono la funzionalità. Tre sono le forme più comuni: amiloidosi a catene leggere o Al, con circa 600 nuovi casi per anno e una prevalenza in Italia di circa 1.500-2.000 pazienti viventi; amiloidosi da transtiretina ereditaria conseguente a mutazione del gene transtiretina, con circa 4-10 casi per milione di abitanti; amiloidosi da transtiretina wild type senza mutazione, con circa 3.000-4.000 pazienti viventi in Italia. Nel caso dell’amiloidosi da transtiretina, il riconoscimento precoce dei sintomi e la diagnosi tempestiva sono cruciali per rallentare la progressione della malattia.  

Purtroppo, ancora oggi l’amiloidosi cardiaca è misconosciuta e la diagnosi avviene sovente con un ritardo medio di 3-4 anni, a causa dell’aspecificità della sintomatologia, che può essere comune a quella di altre patologie cardiache e della mancanza di cultura su questa patologia da parte della comunità medica. 

“L’infiltrazione di fibrille nel miocardio determina un progressivo ispessimento e irrigidimento delle pareti dei ventricoli, che causa la graduale compromissione della funzione di pompa del cuore con insorgenza di scompenso cardiaco – dichiara Laura Obici, dirigente medico Centro per lo studio e la cura delle amiloidosi sistemiche, Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia – il primo sospetto tipicamente nasce sulla base di alterazioni ecocardiografiche in un paziente che richiede un consulto per difficoltà a respirare o per comparsa di gonfiore alle gambe. Il sospetto deve fare avviare rapidamente l’iter diagnostico, con alcuni esami del sangue finalizzati a cercare una eventuale componente monoclonale nel siero e nelle urine. Se la componente è presente bisogna fare una biopsia per ricercare amiloide; se assente è utile fare una scintigrafia cardiaca con un tracciante osseo, che è un esame capace di vedere i depositi di amiloide da transtiretina. Se la scintigrafia è positiva la diagnosi di amiloidosi da transtiretina è certa. Bisogna a questo punto fare un esame genetico per capire se si tratta della forma ereditaria o di quella wild-type”. 

Molti nuovi approcci terapeutici per il trattamento dell’amiloidosi cardiaca sono in corso di sviluppo clinico nei centri di riferimento. Tuttavia, una recente novità riguarda tafamidis (Vyndaqel*), farmaco da poche settimane disponibile anche in Italia per il trattamento dell’amiloidosi da transtiretina sia wild type senile non genetica, sia ereditaria con mutazione del gene transtiretina nei pazienti adulti affetti da cardiomiopatia (ATTR-CM) e rimborsato in classe H, a seguito della determina Aifa pubblicata in Gazzetta Ufficiale. La dose raccomandata è di una capsula una sola volta al giorno per via orale. Il trattamento con tafamidis va iniziato il prima possibile, in modo da rendere più efficace il beneficio sulla progressione della malattia e sulla qualità di vita del paziente. 

“Tafamidis – spiega Claudio Rapezzi, professore ordinario di Cardiologia all’Università degli Studi di Ferrara – rappresenta la prima soluzione terapeutica testata e approvata per questa forma di amiloidosi cardiaca. È una piccola molecola, somministrata per via orale che riesce a raggiungere la proteina della transtiretina, a occupare un certo spazio tra i monomeri che costituiscono la sua struttura, per l’esattezza quattro monomeri, e a legarli l’uno all’altro stabilizzando la molecola. Tafamidis è efficace nel controllare sia la malattia neurologica sia cardiaca”.  

Le figure di riferimento per il paziente sono il cardiologo in primis, il neurologo ma anche l’internista, che se preparati possono facilmente sospettare la patologia. È fondamentale indirizzare il paziente verso i Centri di riferimento specializzati, nello specifico le cardiologie. Lo scambio di informazioni e conoscenze tra medici e centri specializzati è indispensabile, tanto più ora che ci sono nuove opportunità terapeutiche. A tal fine le società scientifiche Sic-Anmco stanno cercando di organizzare e strutturare una Rete italiana per la diagnosi e cura dell’amiloidosi cardiaca nell’ambito della quale anche i pazienti presi in carico nelle cardiologie periferiche possano afferire alle cardiologie di riferimento per approfondire esami e indagini strumentali che, in alcuni casi non chiari, possono rendersi necessarie. 

“Le persone con questa patologia spesso aspettano anni prima di ricevere una diagnosi oppure ricevono una diagnosi errata o terapie non adatte alla patologia – sottolinea Eleonora Russo, Rare Disease Medical Director Pfizer Italia -. Secondo un’indagine internazionale condotta dall’Amyloidosis Research Consortium, circa un terzo dei partecipanti, pazienti con amiloidosi da transtiretina wild type o caregivers, ha riferito una mancata diagnosi o diagnosi errate, rispettivamente, da parte dei cardiologi; e due terzi dei pazienti ha dovuto vedere almeno 2 cardiologi prima della diagnosi. Per avere un impatto positivo nel ridurre il ritardo diagnostico, Pfizer è impegnata da anni in iniziative globali di educazione, informazione e sensibilizzazione come “Il cuore lo sa – AMIloidosi cardiaca: Ascolta, Monitora, Informati”. Non solo. “Pfizer Inc. ha sviluppato e validato un algoritmo di intelligenza artificiale di ausilio al clinico nel complesso iter diagnostico, per facilitare lo screening sistematico dei pazienti con scompenso cardiaco, utile clinicamente nell’identificazione dei soggetti a rischio che possono essere avviati ad indagini mirate per raggiungere più precocemente alla diagnosi”. 

(Adnkronos)