E’ ormai vicina la data del 28 febbraio, giorno in cui verrà sospesa la distribuzione del farmaco olaparib a nuovi pazienti con tumore del pancreas e con la mutazione dei geni Brca1/2, resa famosa dall’attrice Angelina Jolie. Una terapia che ritarda la progressione di malattia e permette di evitare la chemio. In due anni è stata usata per trattare complessivamente “101 pazienti” con queste caratteristiche, “quindi circa 50 all’anno”. “Il capitolo è stato chiuso dall’Agenzia italiana del farmaco Aifa nel mese di novembre, quando la Cts si è espressa dicendo che il farmaco non era di interesse per i pazienti”. Dopo il no dell’ente regolatorio alla rimborsabilità, il programma per l’uso compassionevole chiuderà. Per questo 230 oncologi di 77 centri italiani chiedono ora all’Aifa di tornare sui suoi passi, di rivalutare la posizione espressa sul farmaco.
L’appello è in una lettera indirizzata al presidente dell’Aifa, Giorgio Palù. “L’iniziativa è stata presa dalla Task force oncologica dell’Aisp, Associazione italiana studio pancreas, che ha poi condiviso la lettera con i colleghi di diversi centri della Penisola – spiega all’Adnkronos Salute Michele Reni, che è nel consiglio direttivo dell’associazione e all’ospedale San Raffaele di Milano dirige il Programma strategico di coordinamento clinico del Pancreas Center – ma questa stessa richiesta era già arrivata attraverso più canali. Anche le associazioni di pazienti e altre società scientifiche hanno chiesto all’ente regolatorio di fare una riflessione con i malati e con i medici che si occupano della patologia”.
Il numero delle firme raccolte “è alto e sono tanti i centri oncologici che hanno partecipato. Il giudizio di considerare questo farmaco privo di valore non è infatti condiviso. Chiediamo all’Afa di fare una riflessione considerando la questione anche da punti di vista diversi. Si tratta di decidere che cos’è il valore di un farmaco. Noi nella lettera sottolineiamo che il valore del farmaco è anche nel tempo libero da chemioterapia. Riteniamo olaparib di considerevole rilevanza clinica in una patologia a prognosi infausta e con un armamentario terapeutico limitato, e chiediamo di ripensarci anche in considerazione dei pochi pazienti che sarebbero candidabili. Anche ammesso che il beneficio di sopravvivenza non si debba ritenere già acquisito, chiediamo ad Aifa di consentire ai nostri malati di poter disporre della possibilità di ottenere il beneficio ad esso correlato. Chiediamo che venga lasciata libertà di scelta. Si potrebbe informare il paziente su pro e contro e rischi e benefici e decidere insieme a lui se sia opportuno o no somministrarlo”.
Oggi, continua Reni, noi “possiamo solo tranquillizzare chi è già in trattamento”, perché potrà continuare a prendere il farmaco. “Ma i nuovi pazienti candidabili non potranno avere questa opportunità e diventa difficile anche per loro perché ci troviamo nell’imbarazzo di non poter dare il farmaco. Va considerato poi anche il problema di come spiegare a chi è già in cura che gli stiamo dando un farmaco che l’Aifa considera non rilevante. Non è una questione banale. Noi diciamo all’ente regolatorio di considerare un punto di vista diverso che non sia solo quello del valore della sopravvivenza, che poi è tutto da discutere se non ci sia”.
Lo specialista fa notare: “Ha un peso il fatto che siano così tanti gli oncologi e i centri che si sono espressi in questa richiesta e speriamo che l’Aifa ci risponda. Speriamo si possa trovare una soluzione che vada bene. Visto anche il basso numero dei pazienti” interessati e “considerato che in media si fanno circa 7-8 mesi di trattamento, l’impatto economico non sarebbe così elevato. Se la vogliamo vedere solo da un punto di vista economico non è un costo aggiuntivo, peraltro, perché come alternativa questi pazienti hanno la progressione di malattia, devono cominciare la chemio – che ha un suo costo – e hanno prima effetti legati al tumore e poi alle cure (dolore, blocchi intestinali) e anche questo ha un costo importante fra visite e accessi al pronto soccorso e in ospedale. Per non parlare dell’importanza di ritardare la sofferenza del paziente e la necessità di incominciare la chemio tossica. Non so che valore economico possiamo dare a questo. Bisognerebbe sentire cosa ne pensano i pazienti che hanno assunto il farmaco e in precedenza hanno fatto la chemio. Magari anche loro dovrebbero avere una voce in capitolo su queste cose”.