(Adnkronos) –
Beneficio clinico, sopravvivenza. Il nodo è tutto in queste poche parole, dietro le quali si nasconde un mondo per i pazienti. Specie quelli colpiti da malattie complicate e cattive, come l’adenocarcinoma del pancreas metastatico. Ed è proprio sul significato attribuito a queste definizioni che si è giocato il destino di una terapia per le persone con la mutazione dei geni Brca1/2, resa famosa dall’attrice Angelina Jolie, colpite da questa forma di cancro: rimborsabilità negata dall’Agenzia italiana del farmaco per il medicinale olaparib, ormai oltre un anno fa. Il tema è tornato sotto i riflettori in questi giorni – sulla scia dell’attenzione al tema del tumore al pancreas, accesa dalla morte del calciatore Gianluca Vialli – e l’Aifa ha ribadito con fermezza la sua decisione in una nota. La speranza dell’oncologo Michele Reni, componente del consiglio direttivo dell’Associazione italiana studio pancreas (Aisp), interpellato dall’Adnkronos Salute sull’argomento, resta invece che si possa riconsiderare la questione.
“Sarebbe assolutamente necessario – risponde – Oggi in Europa il farmaco è rimborsato in Francia, Austria, Belgio, Germania, Olanda. Se fosse così oggettivo che non ha dimostrato né di prolungare la sopravvivenza né di migliorare la qualità di vita dei pazienti e che non c’è un beneficio clinico sufficiente, come conclude l’Aifa, sarebbe strano il fatto che 5 Paesi rimborsino il farmaco. Ed è strano anche che 230 oncologi che si occupano di pancreas abbiano scritto una lettera dicendo che non sono tanto convinti di quello che è stato deciso, o che due società scientifiche che si occupano di pancreas sollevino nello stesso modo perplessità, che le associazioni di pazienti con tumore del pancreas sostengano anche loro che ci sia un beneficio. Tutto questo – sottolinea – almeno un minimo di dubbio dovrebbe sollevarlo”.
L’esperto, che all’ospedale San Raffaele di Milano dirige il Programma strategico di coordinamento clinico del Pancreas Center, si dice “ovviamente d’accordo sul fatto che un farmaco deve avere un beneficio clinico per essere approvato. Però un conto è il beneficio clinico, un conto è la sopravvivenza. Il beneficio clinico, nel caso del trattamento dei tumori del pancreas, è stato ben definito 25 anni fa e ha a che fare con le condizioni cliniche e con il peso, ma in ogni caso è semplicemente un qualche cosa di positivo che non necessariamente è legato al prolungamento della vita. E’ un aspetto a mio avviso da tenere presente. Le due cose non sono necessariamente congiunte”, ragiona.
I dati
Reni entra nel merito dei dati disponibili su olaparib per questa neoplasia e dello studio Polo, pubblicato sulla rivista ‘New England Journal of Medicine’, che di fatto ha portato all’approvazione e alla rimborsabilità del farmaco in vari Paesi europei. L’Aifa dice che dal punto di vista statistico con questa terapia non c’è un prolungamento della sopravvivenza. Ma lo specialista invita ad andare più a fondo.
“Stiamo parlando – fa notare l’esperto – di tumore del pancreas metastatico e, a 5 anni dall’inizio della terapia (5 anni è un’unità di misura abbastanza insolita nel caso di questo tumore), abbiamo esattamente il doppio delle persone viventi tra quelle che hanno ricevuto olaparib, rispetto al gruppo che ha ricevuto placebo: oltre il 30% contro circa il 18%. E’ straordinario e non è mai capitato nella storia del tumore del pancreas. E’ un po’ difficile sostenere che questo non sia un prolungamento della sopravvivenza, sia pure limitato a una persona su 3 di quelle che hanno ricevuto il farmaco. Inoltre il divario tra i due gruppi di pazienti sarebbe ancora più ampio se si considera che fra chi ha ricevuto il placebo oltre il 30% ha poi assunto olaparib successivamente”.
“Ma se anche non ci fosse un beneficio di sopravvivenza, e per me questo è un periodo ipotetico dell’irrealtà – continua il ragionamento dell’oncologo – il beneficio clinico è legato anche ad altri fattori che sono molto chiari per chi si occupa di tumore del pancreas: se un paziente non fa la chemioterapia, con tutte le tossicità correlate, è un beneficio clinico. Nel caso dello studio in questione l’obiettivo primario era dimostrare che si potesse ritardare il momento della progressione della malattia e del riutilizzo della chemio. E questo è stato ampiamente dimostrato, perché i tempi” impiegati dalla malattia a riprendere “sono raddoppiati rispetto al gruppo del placebo. E’ un innegabile beneficio clinico. Forse una parte del problema è che bisognerebbe avere una competenza specifica sull’argomento, perché non tutti i tumori sono uguali”.
Questione di qualità di vita
D’altra parte, aggiunge ancora, “chi meglio dei pazienti può sapere se c’è o non c’è un beneficio clinico? Noi medici o tecnici possiamo dire quel che vogliamo, ma forse sarebbe opportuno sentire la voce dei pazienti. Se chiediamo loro se è preferibile fare una chemio per via endovenosa con tutti i noti effetti collaterali che provoca, oppure assumere una pastiglia per bocca, che di effetti collaterali sostanzialmente non ne provoca, penso che la risposta potrebbe essere abbastanza scontata”. Anche il parametro del miglioramento della qualità della vita “è un falso problema” per Reni. “La qualità della vita, nei pazienti che hanno fatto la chemio e l’hanno conclusa ottenendo un beneficio in termini di riduzione della malattia, è qualcosa che di fatto è già presente. Il concetto infatti è di mantenerla, non migliorarla, nel caso appunto di una terapia di mantenimento come quella di cui stiamo discutendo”.
In definitiva, osserva l’oncologo, non si può dimenticare che “la qualità della vita è condizionata dalla ricrescita della malattia, che nel caso del tumore del pancreas crea grossi problemi, grossi danni. Averla rinviata è un altro segnale di un beneficio clinico indiscutibile”. Questo, conclude Reni, “è un tumore diverso, non possono essere applicate le stesse categorie mentali che si applicano ad altre neoplasie. E richiede una competenza specifica, tanto è vero che in ambito di Regione Lombardia e anche nazionale ci si sta orientando verso la costituzione delle Pancreas Unit, sulla falsariga delle Breast Unit per il seno, proprio a testimonianza del fatto che sono indispensabili delle competenze specifiche e i pazienti affetti da questa malattia non possono essere gestiti da oncologi generici. Ci sono dei tavoli di lavoro in atto e almeno per quanto riguarda la Lombardia sono in fase avanzata. C’è una forte volontà anche politica su questo argomento, per cui sono fiducioso – chiosa – sul fatto che si arriverà al più presto a concludere”.
La storia di Mario
“Il primo marzo saranno 4 anni dalla diagnosi di tumore al pancreas”, arrivata nel 2019. “Tutto sommato sto bene. Nessuna complicazione. Continuo a prendere il farmaco olaparib, gli esami continuano ad andare bene, la qualità della vita è buona, più o meno faccio tutto quello che facevo prima. Non posso lamentarmi. Non fare le chemio è sempre una cosa bellissima”. Lo spiega in poche parole all’Adnkronos Salute Mario Sala, commerciante di Desio: prendere una pillola è “molto diverso” dall’affrontare una chemioterapia. “E’ come il giorno e la notte”, sottolinea nel giorno in cui l’Agenzia italiana del farmaco Aifa è tornata a ribadire le motivazioni della sua decisione di non ammettere alla rimborsabilità olaparib per questa neoplasia, verdetto arrivato a novembre 2021. Dal 28 febbraio 2022, poi, è chiuso anche il programma per l’uso compassionevole, con sospensione della distribuzione del farmaco a nuovi pazienti con tumore del pancreas e la mutazione dei geni Brca1/2, resa famosa dall’attrice Angelina Jolie.
Se ne è tornati a parlare sull’onda dell’eco suscitata dalla morte del calciatore Gianluca Vialli, proprio per un tumore del pancreas, che ha avuto l’effetto di riaccendere i riflettori sulla malattia e, nel dibattito sulle prospettive per questi pazienti, si è toccato anche il tema del no a olaparib in Italia. Mario il farmaco lo assume da tempo ormai ed evidenzia un valore “prezioso”, spesso “sottovalutato”: quello della qualità di vita. Lo sa bene lui, che l’anno scorso è riuscito a fare da apripista ai Campionati italiani master a Santa Caterina Valfurva, su un tracciato – quello dedicato all’atleta olimpica Deborah Compagnoni – nato per i Campionati mondiali di sci alpino del 2005 e teatro di diverse gare del circo bianco. “Quest’anno conto di farlo di nuovo”, dice.
Ma intanto già la settimana prossima, quando compirà 57 anni, tornerà in montagna a Folgaria sui suoi amati sci. E per i 4 anni dalla diagnosi il programma è di andarci ancora, “per fare un altro video in pista”. Una vita piena, la sua. E non solo di neve, ma anche di mare in estate e di impegni per la sensibilizzazione sul cancro. A novembre scorso, per fare un esempio, racconta Mario, “abbiamo organizzato una camminata benefica a Limbiate. Obiettivo: raccogliere fondi per l’Associazione italiana studio del pancreas Aisp. E’ andata molto bene”.
Dopo la diagnosi Mario ha sperimentato la chemioterapia, ha affrontato un intervento e molto altro. Dalla sera di Natale 2020 prende olaparib, pastiglie giornaliere da assumere a casa, “una differenza enorme con la chemio”, assicura. “Come il buio e la luce – ripete – Andare in ospedale, fare la terapia, è un grosso disagio. Oltre al mio esempio posso portare quello di altre persone che usano olaparib da anni e hanno risultati in termini di qualità della vita, di sopravvivenza, di tenere la malattia sotto controllo”.
Il paziente racconta anche dell’impatto emotivo suscitato dalla morte di Vialli. “La comunità dei malati ne ha risentito tanto. Nelle chat molti hanno commentato, sono rimasti colpiti, spaventati, preoccupati. Noi non dimentichiamo che ogni caso è a sé”, precisa, ma le riflessioni sullo stato dell’arte della lotta al cancro pancreatico sono inevitabili. “Serve ancora tanta ricerca – osserva – Le armi a disposizione per potersi difendere da questa malattia non sono tantissime, soprattutto quando iniziano a fallire le terapie più importanti, come ci spiegano gli oncologi. Il mio auspicio per questo nuovo anno che è cominciato è che ci siano più fondi per far avanzare la scienza e più attenzione per i medici, i ricercatori, gli infermieri”.
Il no italiano alla rimborsabilità di olaparib per il tumore al pancreas Mario non se lo spiega: “A volte non essere dentro una situazione può rendere difficile capire – riflette – Forse avere un parente o un amico che vive questa esperienza invece può cambiare il punto di vista. Se non sei toccato personalmente, la vivi diversamente. Non credo sia una questione economica, anche perché non sono tantissime in Italia le persone che potrebbero usufruire di questa opzione terapeutica. E poi – conclude – non si riesce a capire perché all’estero e in tutta Europa la terapia in questione sia rimborsata e in Italia no. I dati sono gli stessi. Di fronte a questo, è difficile capire come mai solo qui i pazienti non possano accedere al farmaco”.