Fino a 10 anni per diagnosi Egpa e Hes

(Adnkronos) – C’è la trentenne Eugenia, che racconta di “anni di ricerca” per dare un nome alla propria malattia, e della sua vita finalmente cambiata dopo la diagnosi. E Carmen, over 50, che ha vissuto una decina d’anni tra asma ingiustificato, polmoniti, poliposi nasale di grado severo, prima di approdare alla diagnosi di Egpa nel 2009, in seguito a un ricovero per l’insorgenza di una grave mononeuropatia multipla. Sono solo alcuni dei volti di Apacs, l’associazione fondata dai pazienti colpiti da una malattia rara – granulomatosi eosinofila con poliangioite, Egpa – che accompagnano la presidente Francesca R. Torracca nella sua attività di sensibilizzazione, nata appena 5 anni fa da una riflessione: “Dopo la diagnosi ricevuta nel 2013, mi sentivo sola e spaventata”, racconta. 

In cerca di persone con cui condividere un cammino, Torracca apre prima un blog, poi un gruppo su Facebook. “Ora siamo circa 500. Tanti, se si pensa che in Italia siamo circa mille pazienti in tutto”. Nel 2017 nasce l’associazione, ripercorre Torracca oggi durante un incontro promosso a Milano per fare il punto sul percorso di un anticorpo monoclonale, mepolizumab, che – dopo l’asma grave – è diventato il primo trattamento approvato per l’Egpa, e una nuova opzione per pazienti con un’altra malattia rara, la sindrome ipereosinofila (Hes) senza una causa secondaria ematologica nota, e per i pazienti con rinosinusite cronica con poliposi nasale (Crswnp). Un’arma di precisione oggi per 4.  

Le storie di questi pazienti raccontano della difficoltà di ricevere una diagnosi. “Si parla di latenze diagnostiche che in letteratura arrivano a 8-10 anni. Quindi questi persone hanno girato fra specialisti, ospedali, pronto soccorso anche per 8-10 anni. Ecco perché, innanzitutto, la multidisciplinarietà è fondamentale per seguirli al meglio”, evidenzia Roberto Padoan, specialista in Reumatologia, responsabile del Centro vasculiti dell’Uoc Reumatologia, ospedale universitario di Padova. “La nostra malattia – conferma Torracca – viene spesso scambiata per un asma, magari con poliposi, finché un giorno il paziente non sviluppa la vasculite che va a intaccare un organo e lì il problema diventa grave”, fra “ricoveri e conseguenze a lungo andare pesanti”. 

I pazienti sentivano l’esigenza anche di una terapia su misura, di precisione. Mepolizumab, dice Torracca, “ci cambiato la vita. Ci ha permesso di togliere lo steroide in molti casi, di togliere gli immunosoppressori e di stare meglio. Bisogna però fare sempre di più per la diagnosi precoce”, soprattutto nei centri più piccoli. Queste malattie, interviene Padoan, hanno “un comune denominatore: gli eosinofili”, globuli bianchi coinvolti principalmente nelle reazioni allergiche. “Sono patologie che presentano un’incidenza a livello italiano ed europeo di circa 1-2 fino a 5-6 nuovi casi l’anno per milione di abitanti e la prevalenza arriva a 10-15 casi per milione di abitanti”, spiega l’esperto.  

Gli effetti che Egpa ed Hes possono avere “sulla qualità di vita ma anche sull’aspettativa di vita sono molto severi. Se non riconosciute in tempo e non trattate portano a mortalità”, avverte Padoan, evidenziando però come negli ultimi anni si sia vista “un’impennata di progressi. Si è passati a una malattia potenzialmente fatale a una malattia cronica, come tale con possibile accumulo di danno nel corso del tempo. Questo perché sia Egpa che Hes hanno un andamento intermittente e recidivante costante. Oggi l’approccio è cambiato completamente e avere la medicina di precisione in questo caso è un traguardo importante che risultava impensabile”.  

Serve aumentare però la conoscenza e l’informazione di queste malattie. “Come associazione – spiega Torracca – una cosa che stiamo facendo sono incontri con i medici di base e abbiamo presentato anche dei progetti di informazione per loro. Perché queste malattie non sono ancora conosciute da tutti. Se un paziente ha l’asma, se ha l’eosinofilia, va mandato dallo specialista, perché poi lo specialista è in grado di riconoscere e orientare il paziente. Non si chiede al medico di base di fare la diagnosi, perché è impossibile, ma di sospettare che ci sia qualcosa che non va, sì”.  

(Adnkronos)