Gli archeologi del Dna scoprono i primi malati con troppi o pochi cromosomi

(Adnkronos) – La prima malata di sindrome di Turner è vissuta nell’Età del ferro, mentre il primo paziente con sindrome di Jacobs risale all’Alto Medioevo. A svelarlo è un gruppo di scienziati inglesi del Francis Crick Institute, autori di uno studio pubblicato su ‘Communications Biology’, condotto insieme a colleghi delle università di Oxford e di York e dell’Oxford Archaeology. Grazie a una nuova tecnica che permette di ‘contare’ in modo più preciso il numero di cromosomi nei genomi antichi, questi ‘archeologi del Dna’ hanno scoperto i primi 6 malati con troppi o pochi cromosomi. Oltre ai 2 con sindromi di Turner (un solo cromosoma X invece di 2) e di Jacobs (un cromosoma Y in più, quindi un profilo XYY), hanno individuato anche 3 pazienti con sindrome di Klinefelter (un cromosoma X in più, XXY) vissuti in periodi diversi e un bambino con sindrome di Down (3 cromosomi 21), anche lui dell’Età del ferro.  

La maggior parte delle cellule del corpo umano, tutte eccetto i gameti (ovociti e spermatozoi), ha 23 paia di cromosomi: 22 coppie omologhe e una coppia XX (nella femmina) o XY (nel maschio). Quando le cellule presentano un cromosoma in più o uno in meno, si parla di aneuploidia: proprio l’anomalia genetica individuata dagli autori nei casi descritti analizzando con la nuova metodica, un approccio computazionale messo a punto dai ricercatori del Crick Institute, dati raccolti nell’ambito del progetto Thousand Ancient British Genomes. I 6 ‘pazienti antenati’ sono stati individuati in 5 siti tra Somerset, Yorkshire, Oxford e Lincoln, vissuti in un arco di tempo che va dall’Età del ferro (2.500 anni fa) fino al Post Medioevo (circa 250 anni fa). 

Le 5 persone con una composizione dei cromosomi sessuali diversa dalle canoniche XX o XY – spiegano gli scienziati – furono tutte sepolte secondo le usanze della società in cui vissero, anche se insieme ai resti non sono stati rinvenuti oggetti che potessero far luce sulle loro vite. I 3 pazienti Klinefelter, pur risalenti a epoche molto diverse, condividevano alcune somiglianze: erano tutti leggermente più alti della media e mostravano segni di sviluppo ritardato durante la pubertà. Riguardo alla malata di sindrome di Turner, esaminandone le ossa gli studiosi ritengono improbabile che sia entrata in pubertà e abbia iniziato ad avere le mestruazioni, nonostante un’età stimata di 18-22 anni. I ricercatori hanno inoltre osservato che soffriva di una forma di Turner detta ‘a mosaico’, con alcune cellule che presentavano un solo cromosoma X e altre che ne avevano 2. 

“Attraverso la misurazione precisa dei cromosomi sessuali – afferma Kakia Anastasiadou, dottoranda presso l’Ancient Genomics Laboratory del Crick Institute e primo autore dello studio – siamo stati in grado di fornire la prima prova preistorica di sindrome di Turner risalente a 2.500 anni fa, e la prima evidenza conosciuta di sindrome di Jacob, circa 1.200 anni fa. E’ difficile tracciare un quadro completo di come queste persone vivevano e interagivano con la società, poiché non sono state trovate inseme a beni particolari o sepolte in tombe insolite”, ma analizzando i reperti a disposizione si possono ricavare “alcune informazioni su come la percezione dell’identità di genere si è evoluta nel tempo”. 

“Il nostro metodo – sottolinea Pontus Skoglund, a capo dell’Ancient Genomics Laboratory del Crick Institute – è anche in grado di classificare la contaminazione subita dal Dna e può aiutare ad analizzare il Dna antico incompleto, quindi potrebbe essere applicato a resti archeologici difficili da esaminare. La combinazione di questi dati con il contesto della sepoltura e i beni posseduti potrà anche permettere di capire come il sesso, il genere e la diversità venivano percepiti nelle società del passato. Spero che questo tipo di approccio venga applicato a mano a mano che crescerà la disponibilità di Dna antico” su cui indagare.  

Per Rick Schulting, professore di archeologia scientifica e preistorica all’università di Oxford, “i risultati di questo lavoro aprono nuove ed entusiasmanti possibilità per lo studio del sesso nel passato, andando oltre le categorie binarie in un modo che sarebbe impossibile senza i progressi compiuti nell’analisi del Dna antico”. 

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