In Italia su epatite C poca conoscenza e tanto sommerso

(Adnkronos) – Possiamo avere un mondo libero dall’epatite C e non possiamo aspettare. E’ questo il senso dello slogan ‘Can’t wait. Together we can make it happen’, scelto dall’Organizzazione mondiale della sanità per la Giornata mondiale di sensibilizzazione contro le epatiti virali, in particolare l’epatite C, che si celebra il 28 luglio. L’Italia è però ancora lontana dal raggiungere l’obiettivo stabilito dall’Oms – ovvero l’eliminazione del virus Hcv entro il 2030 – soprattutto a causa di una scarsa conoscenza dell’infezione e dei fattori di rischio che ancora persiste tra gli italiani. Lo dimostrano i dati della recente indagine Doxa Pharma ‘Epatite C – awareness e conoscenze presso la popolazione italiana over 30’.  

Il 64% degli italiani sa poco o nulla dell’Hcv e non sa quali siano le patologie a esso correlate; il 47% non sa se l’epatite C si può curare o meno, il 63% non è in grado di definire spontaneamente quali sono i fattori di rischio e il 73% non ha mai fatto il test. Per questo, secondo gli esperti, sono fondamentali l’informazione sulle modalità di contagio e l’esecuzione di test di screening per fermare la diffusione del virus. Debellare l’infezione da Hcv è infatti possibile grazie all’utilizzo di farmaci che agiscono direttamente sul virus e ne permettono l’eliminazione in oltre il 95% dei casi.  

Nel nostro Paese, seppure in calo, si continuano a registrare nuove infezioni, secondo l’ultimo rapporto del Sistema epidemiologico integrato delle epatiti virali acute (Seieva), che fotografa l’andamento dell’epatite C e dei fattori di rischio. Storicamente i principali fattori di rischio erano gli interventi chirurgici o le trasfusioni, che oggi, grazie all’introduzione di protocolli di sicurezza molto elevati, hanno ridotto al minimo le probabilità di contagio. E’ comunque rilevante che sia in aumento il rischio legato a trattamenti di bellezza come manicure e pedicure, tatuaggi e piercing con strumentazioni non monouso o non sterilizzate in modo appropriato, ma anche da rapporti sessuali non protetti. Possibile, anche se basso, il rischio fra i conviventi con pazienti positivi all’Hcv, a causa della condivisione di strumenti come lo spazzolino o il rasoio. 

“In passato il fattore di rischio prevalente era l’uso di sostanze, mentre negli ultimi anni, in particolare fino al 2020, tra le principali cause di trasmissione sono stati riscontrati i trattamenti di bellezza, come manicure e pedicure, la pratica del piercing e dei tatuaggi, e i rapporti sessuali non protetti, soprattutto nella popolazione più giovane: fattori di rischio che riguardano tutti e non solo alcune categorie specifiche, e che espongono chiunque alla possibilità di contrarre l’infezione e di essere inconsapevolmente vettore per la diffusione dell’Hcv”, sottolinea Alessandra Mangia, responsabile dell’Unità di Epatologia dell’Irccs ‘Casa Sollievo della Sofferenza’ di San Giovanni Rotondo, in Puglia. “Per questo è fondamentale far emergere il cosiddetto ‘sommerso’, favorire cioè l’individuazione delle persone Hcv positive, così da arrestare la diffusione del virus”. 

Il fenomeno del sommerso è ancora molto rilevante. In Italia, secondo l’Istituto superiore di sanità, si stimano ancora 100mila persone con malattia di fegato avanzata causata da un’infezione da Hcv attiva e non diagnosticata, la maggior parte di età compresa fra i 60 e i 70 anni, e altri 280mila individui con infezione da Hcv attiva con età media di 46 anni, che non sanno di avere la malattia in quanto asintomatica. “L’infezione purtroppo rimane a lungo silente e quindi chi è infetto senza saperlo può essere veicolo di contagio per anni – evidenzia Mangia – Se vogliamo debellare l’epatite C dobbiamo agire con campagne mirate, sia sulle popolazioni più a rischio sia nella popolazione generale. Sarebbe importante, inoltre, che le persone over 50 con patologie croniche si sottoponessero al test perché l’epatite C, che decorre asintomatica per decenni e può avere come conseguenza lo sviluppo di altre patologie, per esempio il diabete di tipo 2”.  

Oggi l’epatite C è curabile, come ricorda l’Oms, e questo non solo impedisce alla malattia di progredire fino ad arrivare alla cirrosi o al tumore del fegato, ma può migliorare anche alcune delle problematiche extraepatiche che spesso si presentano insieme all’infezione, come ad esempio il diabete di tipo 2, alcune malattie cardiovascolari, renali e neuropsichiatriche. Alla luce di queste evidenze scientifiche e della necessità di far emergere le infezioni sommerse, a maggio 2021 è stato introdotto – all’interno del cosiddetto decreto Milleproroghe – lo screening nazionale per l’eliminazione del virus Hcv: grazie a un finanziamento di 71,5 milioni di euro, tutti i nati fra il 1969 e il 1989, le persone seguite dai Serd (Servizi per le dipendenze patologiche) e i detenuti possono eseguire gratuitamente il test per verificare la presenza del virus. 

Per sensibilizzare la popolazione, favorire una corretta informazione sull’epatite C e far emergere il sommerso, Gilead Sciences ha lanciato nel 2020 la campagna ‘C come curabile’ – ricorda l’azienda in una nota – che si arricchisce ogni anno di nuovi strumenti e contenuti: sul sito ccomecurabile.it sono disponibili dati, ricerche, notizie, interviste agli operatori sanitari sulle ultime novità in termini di prevenzione e cura dell’infezione da Hcv. 

“Per Gilead quello contro le epatiti virali è un impegno importante e costante – dichiara Cristina le Grazie, direttore medico di Gilead Sciences – Da oltre 20 anni sviluppiamo soluzioni per migliorare la vita dei pazienti. Grazie ai nostri farmaci la storia dell’epatite C è cambiata radicalmente, ma da soli i farmaci non bastano: dobbiamo continuare a impegnarci per diffonderne la conoscenza, promuovere i test per l’individuazione delle persone positive, così da arrestare la diffusione del virus e favorire l’accesso alle terapie a tutti coloro che ne hanno bisogno. Per questo, accanto all’impegno nella ricerca e sviluppo di soluzioni terapeutiche innovative, da sempre lavoriamo a stretto contatto con le comunità per la promozione della salute”. 

Secondo l’Iss, la prevalenza dell’infezione da Hcv nella popolazione italiana è dell’1%, ma negli over 75 si stima che salga fino al 6-7%. Queste infezioni sono generalmente avvenute prima che il virus fosse scoperto, ovvero prima degli anni ’90, prima che venissero sviluppati protocolli di sicurezza e che si decidesse l’introduzione di strumenti monouso (aghi, siringhe, bisturi). La prevalenza aumenta al 7% circa anche in alcune specifiche popolazioni, come i detenuti o le persone che fanno uso di droghe iniettabili, che nei Paesi occidentali rimane il principale fattore di rischio per l’epatite C. 

(Adnkronos)