Influenza verso il picco, vademecum di sintomi e cure

 Con oltre 1 milione di casi nella settimana dal 25 al 31 dicembre e oltre 6,7 milioni dall’inizio della sorveglianza, l’influenza viaggia verso il picco stagionale con il suo carico di raffreddori, febbre, dolori e acciacchi di vario tipo. Ma come parte l’influenza? E quanto dura? Come si previene? E come si cura? A queste domande risponde l’immunologo Mauro Minelli, responsabile per il Sud della Fondazione per la Medicina personalizzata. Quanto tempo passa, in genere, dal momento in cui mi hanno trasmesso il virus a quello in cui la malattia si manifesta? “Si chiama ‘tempo di incubazione’. Per l’influenza la sua durata media è di due giorni ed è quel tempo che trascorre tra il momento della comparsa dei primi sintomi e il precedente momento del contagio generalmente procurato da goccioline di saliva che il soggetto contagiante può spargere nell’ambiente con gli starnuti, con i colpi di tosse, ma anche attraverso contatti interumani ravvicinati”, risponde l’immunologo.

“Data la recentissima memoria di raccomandazioni che, in questo senso, sono state somministrate a iosa, non ritengo sia il caso di aggiungerne altre, per quanto terrei a dire che, se non la mascherina (che tuttavia in certi casi non sarebbe da escludere) almeno la buona abitudine a starnutire nel gomito o a coprire la bocca con la mano – avverte Minelli – nel momento in cui si dovesse tossire, possono sempre costituire comportamento tutt’altro che formale di rispetto e di buona educazione”.

Come riconosco l’influenza? Quali sono, quest’anno, i suoi sintomi più caratteristici? “Brividi e febbre che aumenta repentinamente, fino a portarsi anche oltre i 39°C. Mal di gola e disfonia, con voce rauca e possibile impedimento nel deglutire – prosegue Minelli – Dolori assortiti di tipo articolare e muscolare, diffusi praticamente ovunque. Spossatezza invalidante, tale da farti sentire senza forze. Tosse secca, abbaiante, talvolta soffocante, con fastidioso prurito tra gola e naso che gocciola come un rubinetto. Bruciore agli occhi e lacrimazione. Mal di testa associato a senso di testa vuota, sonno disturbato, perdita di appetito, turbe dell’umore. Disagi intestinali con nausea, turbe digestive, frequentemente crampi addominali, diarrea, emorroidi”.

“Generalmente la manifestazione acuta dell’influenza si autolimita, nel senso che si spegne da sola nell’arco temporale di qualche giorno (mediamente meno di una settimana), semmai lasciando strascichi come tosse di varia intensità e sensazione di precaria forma fisica, perduranti anche per alcune settimane – ricorda Minelli – Tuttavia, i tempi di risoluzione dell’infezione respiratoria causata dalla sindrome influenzale sono suscettibili di ampie fluttuazioni dipendenti, oltre che dalla tipologia degli agenti responsabile dell’infezione, anche e soprattutto dall’età della persona colpita, dalle sue complessive condizioni di salute, dai livelli di efficienza del suo sistema immunitario e, dunque, dalla capacità di quest’ultimo di svolgere, se adeguatamente addestrato, un’efficace azione protettiva. E’ a seconda di questi fattori che un caso di influenza può passare inosservato in mancanza di sintomi apprezzabili, può manifestarsi con il suo classico corteo sintomatologico, oppure può arrivare a causare complicazioni di varia gravità”.

Ma questi quadri sono davvero imputabili solo all’influenza? “No, perché potrebbe trattarsi anche di altre sindromi, tipiche della stagione fredda e provocate da un set di virus respiratori detti ‘parainfluenzali’, ovvero di una combinazione tra questi ultimi e i virus dell’influenza – osserva l’immunologo – Tanto gli uni quanto gli altri, durante la stagione invernale, possono trovare terreno fertile nell’uomo in ragione di una minore efficienza del sistema immunitario legata alle basse temperature che possono anche portare a una minore efficacia dell’apparato muco-ciliare, uno dei più potenti meccanismi di difesa di cui il nostro albero respiratorio si è dotato per proteggersi. Altro elemento favorente può essere la maggiore promiscuità legata alla concentrazione di molte persone in ambienti confinati e non adeguatamente areati”.

E le complicazioni? “Quelle più frequenti sono rappresentate da polmoniti, otiti, rino-sinusiti o, comunque, da un peggioramento di quadri clinici pre-esistenti – risponde – Si tratta di eventualità più immediatamente correlabili al progressivo indebolimento del sistema immunitario che fisiologicamente accompagna l’invecchiamento. Sicché, con il progredire dell’età, aumenta la probabilità di complicanze che diventano ancora più temibili in concomitanza di patologie croniche a carico dell’apparato cardiovascolare o respiratorio o renale o nervoso. Se l’infezione respiratoria stagionale coglie di sorpresa, l’unica risorsa credibile rimane la terapia farmacologica in elezione. Ma, com’è ovvio, molto più conveniente e sicuro sarebbe eliminare il rischio sul nascere, rimuovendo il problema all’origine con un’opportuna vaccinazione antinfluenzale”.

“E allora, mettendo su un piatto della bilancia i rischi statisticamente minimi connessi ai vaccini antinfluenzali e, sull’altro piatto, il rischio di contrarre la malattia, tanto più se non proprio giovanissimo e magari affetto da altra patologia cronica, io sceglierei di vaccinarmi – suggerisce l’immunologo – Vero, non avrei certezze assolute né di non contrarre l’influenza né di non avere alcun effetto avverso, ma certamente mi regolerei sulla base di motivazioni razionali e scientificamente fondate, e non di pregiudizi”.

Qual è la migliore terapia per curare l’influenza? “Al primo posto ci metterei la pazienza, da professare con convinzione. Seguono i liquidi, da assumere in abbondanza per favorire un’adeguata idratazione. Si potrà ricorrere a farmaci sintomatici del tipo anti-infiammatori/antifebbrili tanto per attenuare i mal di testa, i dolori articolari, il malessere generale”, ricorda.

“All’immancabile richiesta di assumere subito anche un antibiotico risponderemo, come sempre, che gli antibiotici non curano l’influenza. Semmai potremo darli ai soggetti più a rischio per prevenire eventuali sovrainfezioni batteriche, semmai dopo aver sentito un medico e comunque solo nel caso in cui i sintomi dell’influenza non dovessero passare con la più basica automedicazione, ovvero nei casi in cui dopo un’apparente guarigione, dovesse manifestarsi un ritorno di febbre e tosse produttiva. A proposito di quest’ultima una piccola nota andrebbe aggiunta: per l’impostazione della terapia non basiamoci sulla maggiore o minore consistenza e densità del catarro che viene eventualmente espettorato con la tosse – avverte -. La maggiore intensità del giallo nel colore delle secrezioni non equivale alla maggiore gravità delle infezioni, ma semmai all’evoluzione di uno stato infiammatorio che può conseguire anche ad un’infezione virale. Voglio dire che non esiste il concetto del ‘più è giallo il muco, più ho bisogno dell’antibiotico per contrastare l’infezione batterica’, perché il muco giallo può anche essere conseguenza di un’infezione prodotta da un virus sul quale l’antibiotico comunque non avrà mai nessun effetto”.

(Adnkronos)