(Adnkronos) – Hanno la stoffa di autentici supereroi, ma purtroppo uno dei loro ‘doni’ è quello dell’invisibilità. Si stima siano mezzo milione in Italia: sono i ‘rare sibling’, bambini e ragazzi fratelli e sorelle (sani) dei malati rari. Hanno sogni declinati al futuro ma spesso rinunciano a inseguirli, e si trovano nella condizione di essere ‘predestinati’ caregiver, anche se ancora non lo sanno. A loro è dedicata una Giornata europea che si celebra proprio oggi e per l’occasione in Lombardia, che ne ha istituita una regionale, è stato organizzato un momento di riflessione e dibattito a Palazzo Pirelli, a Milano. Obiettivo: “Parlarne, accendere un faro su questi bambini, adolescenti e adulti finora orfani di attenzioni sia da parte delle istituzioni, che devono capire che c’è una quota di popolazione giovane che vive una quotidianità diversa, sia” inevitabilmente “da parte delle famiglie, perché quando c’è una malattia grave si fa fatica a vedere tutto il nucleo familiare nel suo insieme”, spiega all’Adnkronos Salute Stefania Collet, coordinatrice del progetto ‘Rare Sibling’ dell’Osservatorio malattie rare (Omar).
Ma chi sono i fratelli invisibili? “Sono sibling dall’età di 5 anni, quando è nata Luisella una bellissima bambina con 2 occhioni azzurri e molto vispa e allegra”, racconta una ‘decana’ dei fratelli rari, la over 60 Loredana, in una delle testimonianze raccolte sul sito del progetto di Omar. “La mia vita da sibling è stata condizionata dalla disabilità: le scelte di studio, di lavoro, il crearmi una famiglia”, ammette. “Per me e Luisella continuano le battaglie di ogni giorno, la mia grande paura è non fare in tempo a realizzare il mio sogno per lei, la casa dove possa vivere serena e con l’assistenza adeguata e magari con qualche amico quando io non avrò più le forze per occuparmi completamente di lei”. Spaccati di amore fraterno che accomunano tutte le storie. Come quella di Sharon, 23 anni, che definisce il fratello minore Pietro, per gli amici Pie, “raggio di sole che illumina la mia esistenza”. E’ stato difficile per lei realizzare che era arrivato il momento di lasciare la Calabria per poter frequentare la Specialistica in Psicologia clinica in un ateneo del Nord. “Ho capito che le persone devono andare avanti nella loro vita. Anche se a malincuore, dovrò lasciare la mia famiglia. Non posso restare qui”.
Prendere il volo, lasciare casa per un sogno che resta comunque sempre ispirato all’esperienza totalizzante della malattia rara. Fratelli rari non si nasce. E non è automatico avere gli strumenti per affrontarlo al meglio questo viaggio così intenso di emozioni, ma anche di solitudine. “All’inizio non è stato facile adattarsi alla nuova routine: è come se ti buttano nel campo di calcio senza aver mai fatto la scuola”, ha avuto modo di raccontare in una delle testimonianze Andrea, fratello di Roberta, “una birbante clamorosa”, come la descrive. “Non sapere quello che stava succedendo a Roberta e alla tua famiglia era tosto”, è un altro passaggio del suo discorso. “Capivamo le difficoltà del momento, ma ci è mancata la figura della mamma per tanto tempo. Il papà ha fatto il possibile per tenerci uniti, proponendosi come una figura di riferimento”.
“I figli sani in qualche modo si ritrovano a stare in un angolo”, spiega Collet, “le rinunce cominciano presto. E presto questi ragazzi cominciano a chiedersi: cosa potrò fare nella mia vita? Nei gruppi esperienziali guidati dalla psicologa che abbiamo organizzato con il progetto Rare Sibling”, un progetto nato anche per fare in modo che altri rare sibling si potessero riconoscere, “emerge spesso questo pensiero. Perché tu sei un caregiver a tutti gli effetti anche se nessuno te lo dice. E moltissimi fratelli e sorelle poi scelgono per loro stessi un lavoro legato all’ambito sanitario: diventano psicologi, fisioterapisti, perché vedono queste figure girare in casa da sempre, e ne fanno una professione, quasi a prendersi già carico ed essere pronti, quando sarà il momento, ad occuparsi del proprio fratello o sorella”.
Sono famiglie che vivono esperienze difficili da accettare prima e da gestire poi. Si è parlato di questo nel convegno promosso dall’associazione ‘Nessuno è escluso’, con il patrocinio di Alleanza Malattie Rare (Amr), Omar e Osservatorio Terapie Avanzate, nell’ambito della Giornata regionale dedicata ai rare sibling istituita dal Consiglio regionale della Lombardia lo scorso novembre. Che cosa si può fare per questi ragazzi? “Si può e si deve cominciare a lavorare nelle scuole”, esorta Collet. “Aprire uno spiraglio. Molti di questi ragazzi non parlano della loro condizione né a casa con i genitori, perché non vogliono creare altre preoccupazioni, né con gli amici perché non vogliono che il rapporto non sia autentico, né a scuola perché non vogliono favoritismi o trattamenti diversi. Cominciare a fare dei progetti a scuola significa dare loro la possibilità di sentirsi compresi e accolti ma anche prevenire il bullismo che esiste talvolta nei confronti delle malattie rare. Quello che noi auspichiamo è che i sibling possano capire che non sono soli”.
E’ il messaggio che Collet ha portato a casa dagli incontri con i fratelli rari. Durante uno di questi è rimasta molto colpita dalle parole di Mattia Indorato, fratello di Damiano, nominato Alfiere della repubblica da Mattarella nel 2020: “Anche quando ha perso il fratello ha continuato a partecipare a quei momenti di confronto – racconta – Mattia ha capito che sarebbe rimasto sibling tutta la vita e ha deciso di testimoniare anche per gli altri ragazzi che cosa ha significato per lui la perdita del fratello. Un altro elemento molto importante di cui non si parla mai: la paura della morte. E lui ha voluto dire grazie perché, ha spiegato, fino ad allora si era sentito come se fosse l’unico al mondo ad avere un fratello con disabilità. Ecco, oggi lui e molti altri sanno che non è così”.