(Adnkronos) – Dare certezza e garanzia al diritto del cittadino di accedere alle prestazioni nei tempi massimi previsti dalla norma rispettando i codici di priorità. E’ questo, secondo Salutequità, l’aspetto su cui il disegno di legge sulle liste di attesa deve parlare chiaro. “Per farlo – ha spiegato Tonino Aceti, presidente di Salutequità, durante un’audizione al Senato (X Commissione) nell’ambito dell’esame del Ddl sulle prestazioni sanitarie – è indispensabile dettagliare meglio il meccanismo di garanzia e rendere questo diritto effettivamente cogente. Come? Stabilendo nella legge che l’operatore Cup (il Centro unico di prenotazione) che prende in carico la persona deve essere responsabile dall’inizio alla fine di gestire il caso e chiuderlo nel modo previsto dalla Regione in un tempo di 48 ore. Se al momento del contatto con il cittadino il Cup non ha la capacità di dare una data rispettosa dei tempi, si prende 48 ore, si coordina con la direzione generale o altro personale dedicato della Asl e con questo analizza e trova una soluzione al problema. Se la soluzione non c’è nel servizio pubblico, si dà l’autorizzazione ad andare in libera professione intramoenia o nel privato accreditato pagando il solo ticket”.
“Questo deve essere automatico, perché il cittadino ha diritto alla prestazione nei tempi stabiliti e non deve più assolutamente ricorrere di tasca propria al privato o rinviare se non rinunciare alla prestazione: un grande elemento di iniquità nel servizio sanitario”, ha evidenziato Aceti. L’accesso tempestivo alle cure, ha ricordato, “è uno degli obiettivi mancati oggi nel Ssn. l’Istat dice che 4,5 milioni di cittadini nel 2023 hanno rinunciato alle cure per liste d’attesa e solo poche regioni nel 2023 sono tornate dopo l’emergenza Covid a livelli più bassi del 2019 rispetto alla rinuncia alle cure. Cresce però la spesa sanitaria privata da parte delle famiglie ed è la Corte dei conti a dirlo: nel periodo 2021-2023 si passa da 41 miliardi a 43, con un’incidenza sul Pil ormai che ha raggiunto il 2,1%”.
Secondo il presidente di Salutequità, oggi accade che “il cittadino chiami il Cup, ad esempio, con un codice di priorità di 30 o 60 giorni e questo dà una data su tutta la regione che non è rispettosa dei tempi massimi a volte anche di molti mesi. Poche regioni si salvano da questa situazione. A questo punto il Cup inserisce il cittadino nelle cosiddette liste di garanzia: si prende nome e cognome dell’assistito con l’impegno di richiamarlo entro 3-4 giorni, che diventano spesso una settimana, anche 10 giorni, oppure non è proprio richiamato. Il meccanismo non funziona – ha avvertito Aceti – e quando in caso richiamano, dicono spesso che la prestazione in quei tempi non c’è, si lascia il cittadino solo con la prescrizione e il problema e lì si chiude la possibilità di cura per la persona nel servizio pubblico”.
Altri aspetti importanti delle osservazioni di Salutequità – che ha trasmesso alla X Commissione una nota dettagliata nel merito – riguardano la necessità di accelerare i tempi di applicazione della legge con l’emanazione dei decreti attuativi, “perché sono tutti in ritardo rispetto alla tabella di marcia – ha rimarcato Aceti – e questo è un elemento di criticità: quel provvedimento, se può portare effetti, lo può fare solo se i decreti attuativi raggiungono il traguardo e lo fanno nel più breve tempo possibile”.
L’esperto ha poi segnalato alla commissione la necessità di un intervento deciso sul depotenziamento del testo del decreto-legge originario nella legge di conversione sulle cosiddette ‘agende bloccate’. “Un depotenziamento – ha illustrato – che c’è stato in fase di conversione dove una delle prerogative della piattaforma nazionale di Agenas era di individuare le cosiddette agende bloccate. Questo elemento è una criticità, un depotenziamento del provvedimento che oggi invece tornerebbe molto utile. Per questo chiediamo che nel Ddl si ridia ad Agenas la prerogativa di mappare anche le agende bloccate”. Secondo il presidente di Salutequità, poi, ci sono aspetti da maneggiare con prudenza e mettendo paletti molto chiari per non mettere sotto pressione ancor di più i redditi delle famiglie per curarsi o lasciare indietro i più fragili. E’ il caso della previsione di oneri a carico degli utenti per lo svolgimento in telemedicina di prestazioni laboratoristiche, per le quali non si specifica se le stesse saranno alternative alle ‘prestazioni tradizionali’ o aggiuntive. Nel primo caso ci troveremmo in presenza di uno spostamento inaccettabile dei costi dei Lea, Livelli essenziali di assistenza, dal Ssn alle famiglie. Così come della possibilità, anche per le persone con scarse o nulle competenze digitali, di potersi avvalere e concorrere al Registro delle segnalazioni, prevedendo un accesso anche telefonico ad esempio.
Infine, va rafforzato molto il sistema di monitoraggio e “se il contrasto alle liste d’attesa è una strategia portante del Ssn – ha concluso Aceti – dovrà contare su risorse strutturali per il loro abbattimento. Queste potrebbero essere anche trovate all’interno degli obiettivi del Piano sanitario nazionale (ovvero obiettivi strategici e prioritari sui quali far convergere, in accordo con le Regioni, una quota del Fondo sanitario nazionale), che oggi presentano più di qualche criticità, mancando da anni il Piano sanitario nazionale, all’interno del sistema stesso”.