Almeno 17 milioni di persone nei 53 Paesi della regione europea dell’Organizzazione mondiale della sanità hanno sperimentato nei primi 2 anni di pandemia il Long Covid, soddisfando i criteri Oms che definiscono la sindrome post-infezione da Sars-CoV-2 come un quadro sintomatologico della durata di 3 mesi o più. E’ la stima basata su un modello messo a punto per l’Oms Europa dall’Institute for Health Metrics and Evaluation (Ihme) della School of Medicine dell’Università di Washington, negli Usa. Emerge anche “uno sbalorditivo aumento del 307%” dei nuovi casi di Long Covid identificati tra il 2020 e il 2021. “Milioni di persone negli anni a venire potrebbero dover convivere con questa sindrome”, avverte l’agenzia che insieme alle associazioni di pazienti riunite nel network Long Covid Europe detta gli obiettivi per contrastare l’emergenza definendoli con 3R: Recognition, Research and reporting, Rehabilitation, ossia identificazione, ricerca e segnalazione, riabilitazione.
Dalla fotografia scattata grazie alla metodologia Ihme risulta che le femmine, rispetto ai maschi, hanno una probabilità doppia di sviluppare Long Covid. Il rischio, inoltre, cresce “drammaticamente” per chi ha avuto forme gravi di malattia, tali da necessitare un ricovero ospedaliero, con una donna su tre e un uomo su cinque che possono sperimentare la sindrome. “Anche se c’è ancora molto da imparare sul Long Covid, in particolare su come si presenta nelle popolazioni vaccinate rispetto alle non vaccinate e su come influisce sulle reinfezioni – commenta Hans Kluge, direttore di Oms Europa, parlando dal 72esimo Comitato regionale dell’agenzia riunito a Tel Aviv, in Israele – questi dati evidenziano l’urgente necessità di ulteriori analisi, di più investimenti e di un maggiore sostegno ai pazienti. Nella nostra regione, a cavallo tra Europa e Asia centrale, milioni di persone soffrono di sintomi debilitanti molti mesi dopo l’infezione iniziale da Covid-19. Non possono continuare a patire in silenzio. I governi e i partner sanitari devono collaborare per trovare soluzioni basate sulle evidenze”.
“La ricerca Ihme – riferisce Christopher Murray, direttore dell’istituto – mostra che nei primi 2 anni di pandemia quasi 145 milioni di persone in tutto il mondo hanno sofferto di uno dei tre gruppi di sintomi che caratterizzano il Long Covid: affaticamento con dolore fisico e sbalzi d’umore, problemi cognitivi, mancanza di respiro. Sapere quante persone sono colpite dalla sindrome, e per quanto tempo, è importante per i sistemi sanitari e le agenzie governative per definire strumenti di riabilitazione e supporto. E’ anche fondamentale che i datori di lavoro comprendano il problema, in modo da prevedere soluzioni speciali per chi sta affrontando limitazioni” legate alle sequele dell’infezione.
Sebbene la maggior parte dei contagiati Covid si riprenda completamente dopo l’infezione – ricorda l’Oms Europa – il 10-20% sviluppa una varietà di effetti a medio e lungo termine come affaticamento, affanno e problemi cognitivi (confusione, disturbi di memoria, mancanza di concentrazione e di lucidità mentale). Sintomi che possono persistere dopo l’infezione da Sars-CoV-2 oppure comparire dopo la guarigione, che vanno e vengono o determinano ricadute periodiche. Il Long Covid può anche avere un impatto diretto o indiretto sulla salute mentale e il benessere psicologico, e può condizionare la capacità di svolgere attività quotidiane come il lavoro o le faccende domestiche.
“Mio marito e io abbiamo avuto il Covid nel marzo 2020 – racconta Ann Li, presidente di Long Covid Europe, rete che comprende 19 associazioni pazienti di tutta la regione europea dell’Oms – Non ho ricordi chiari di quel periodo e secondo i medici potrebbe dipendere dalla mancanza di ossigeno” sofferta durante la malattia, “ma ciò che mi torna in mente è il dolore, la fatica a respirare, la stanchezza, il bisogno di dormire sempre. La cosa peggiore per me è stata la nebbia cerebrale continua: per un po’ non sono nemmeno riuscita a parlare bene; potevo farlo solo lentamente, era così difficile formulare le frasi nella testa. Siamo grati di collaborare ufficialmente con Oms Europa”, attraverso una partnership volta a colmare le lacune di conoscenza sulla sindrome post-infezione e a promuovere la strategia delle 3R.
Gli obiettivi sono “riconoscimento e condivisione della conoscenza” sul Long Covid, con “tutti i servizi adeguatamente attrezzati e nessun paziente lasciato solo o incapace di riconoscere questa condizione debilitante; ricerca e segnalazione, attraverso la piena partecipazione dei pazienti, necessaria a migliorare la comprensione della prevalenza, delle cause e dei costi del Long Covid; riabilitazione basata sull’evidenza e sull’efficacia, sicura sia per i pazienti sia per i caregiver”. Affinché questi obiettivi siano raggiunti “abbiamo bisogno che tutti i Paesi della regione europea dell’Oms riconoscano che il Long Covid è un problema serio che richiede una risposta”, ammonisce Kluge. Non ne va solo della salute, avverte: “Stiamo ascoltando storie di tragedie individuali, di persone in crisi economica che affrontano problemi relazionali, che perdono il lavoro e cadono in depressione. Molti operatori sanitari che hanno rischiato la vita in prima linea ora soffrono di queste sindrome cronica e debilitante dopo un’infezione contratta sul lavoro. Loro, e milioni di altre persone, hanno bisogno del nostro aiuto”.