(Adnkronos) – L’approvazione da parte dell’Agenzia europea del farmaco (Ema) e quella italiana (Aifa) all’aggiornamento della scheda tecnica “consente de facto che agalsidase alfa, indicata come terapia enzimatica sostitutiva per pazienti con malattia di Fabry, possa essere autosomministrata da parte di un paziente formato o di un caregiver” a domicilio, afferma Barbara Capaccetti, Medical & Regulatory Director Takeda Italia. “Un vantaggio per il paziente in termine di qualità di vita, ma anche per il caregiver – sottolinea – Un risparmio di risorse in termini anche di tempo per accedere alle strutture e ricevere la somministrazione, ma anche per il paziente che può sentirsi un po’ meno malato”.
Si tratta di “un aggiornamento importante che si basa sul profilo di tollerabilità e maneggevolezza di aglasidase alfa e una modalità in più di accesso al trattamento oltre a quelle già esistenti, cioè ospedaliera o domiciliare assistita”, aggiunge Capaccetti, ricordando che “la decisione di passare all’autosomministrazione deve essere valutata dal medico curante previa formazione del paziente o comunque di chi lo assiste”. Un altro aspetto da non sottovalutare è che “questo aggiornamento consente anche un vantaggio in termini di un minor rischio di esposizione alle infezioni – evidenzia il direttore medico di Takeda – Abbiamo imparato dalla pandemia quanto garantire di avere una terapia domiciliare possa abbattere il rischio di un contagio e sappiamo quanto sia importante per questi pazienti garantire una continuità terapeutica”.
A testimonianza dell’innovazione e dell’attenzione della società biofarmaceutica nello sviluppare terapie “che possano fare la differenza per i pazienti”, argomenta Capaccetti, c’è un dato: “Un terzo della nostra pipeline ha ricevuto lo stato di breakthrough designation”. Del resto, “l’impegno in R&S si traduce in” un impegno di “oltre 5 miliardi di dollari l’anno con un incremento degli investimenti, in quest’ultimo anno, di circa il 10%”. Guardando al futuro, “l’obiettivo per i prossimi 3-5 anni è di investire il 70% del portfolio nelle malattie rare – continua – Sappiamo quanto le malattie rare, in particolare quelle da accumulo lisosomiale, se non adeguatamente diagnosticate e trattate, possono evolvere rapidamente a condizioni gravi e invalidanti, fino al decesso del paziente”.
L’impegno dell’azienda è su più fronti. “Prima di tutto – elenca Capaccetti – per aumentare l’awareness con programmi di formazione del personale sanitario per avere una corretta diagnosi in tempi brevi: il ritardo diagnostico va da 4 a 7 anni” ed è “dovuto a una serie di fattori: la scarsa informazione, la numerosità e la complessità delle malattie rare non aiutano. Takeda, inoltre, supporta programmi di screening attraverso test diagnostici rapidi e semplici che consentono la presa in carico del paziente in modo tempestivo”, accanto a “programmi di supporto del paziente, offerti tramite partner qualificati, che contribuiscono a garantire la continuità terapeutica e assistenziale”.
“Non esistono le malattie, ma i malati – riflette il direttore medico di Takeda – E’ proprio così. Attraverso programmi di supporto, possiamo fornire un servizio cercando di rispondere a quelle che sono le esigenze specifiche del paziente: da programmi di supporto psicologico, piuttosto che percorsi fisioterapici o training, fino alla terapia domiciliare”.