“Mascherine anti-Covid hanno tenuto a bada allergie”: lo studio italiano

Mascherine anti-Covid, da effetto collaterale della pandemia, a potenziale risorsa per tenere a bada le allergie stagionali e non solo. Lo ha dimostrato una ricerca condotta in 13 centri di allergologia dell’Associazione allergologi ed immunologi italiani territoriali ospedalieri (Aaiito), coadiuvati dai dati ambientali Arpac Campania, che hanno studiato 291 pazienti per capire quanto la mascherina li ha protetti dai sintomi allergici, confrontando i sintomi del 2020, in pieno lockdown, con quelli del 2019. I risultati dimostrano “un importante effetto protettivo, tale da suggerirne l’adozione nei periodi a maggior circolazione di virus e presenza di allergie stagionali”, sottolinea l’Aaiito. 

“Sono stati esaminati, nei vari centri della regione Campania, 291 pazienti con allergia esclusiva ai pollini primaverili – spiega Gennaro Liccardi, Università Tor Vergata di Roma e Irccs Sdn-Synlab, Napoli – ad ognuno di questi è stato chiesto di valutare l’entità dei sintomi nasali e oculari nella primavera 2020 (con l’uso della mascherina) rispetto allo stesso periodo del 2019 (senza mascherina) nonché il numero medio di ore giornaliere durante le quali si indossavano le mascherine. Poiché la gravità dei sintomi nasali dipende anche dal numero di pollini e dal livello di inquinanti ambientali presenti nel periodo di osservazione, abbiamo ricevuto questi dati essenziali dall’Arpac, l’Agenzia regionale per la Protezione ambientale in Campania”. 

Nonostante nella primavera 2020, i pazienti indossassero mascherine artigianali, soprattutto di stoffa lavabile, per la nota carenza di quelle professionali”(chirurgiche, N95, Ffp22), “i risultati dello studio hanno dimostrato che l’uso di tali dispositivi ha significativamente migliorato i sintomi nasali (starnuti, naso che cola, naso chiuso) della rinite allergica da pollini rispetto alla primavera precedente – riporta la ricerca – Un ulteriore dato emerso è stato che tali miglioramenti risultavano tanto più evidenti quanto più prolungato era l’utilizzo delle mascherine fuori casa. Per quanto riguarda i sintomi oculari, come prevedibile, non hanno subito alcuna modifica non avendo i pazienti indossato dispositivi di protezione a carico degli occhi” 

“I dati forniti dall’Arpac – continua Liccardi – hanno certificato che i livelli di pollini e di inquinanti ambientali (CO, NO, NO2, O3, PM10 e PM2.5) non erano cambiati nel corso della primavera 2020 rispetto a quella 2019. In altre parole, il miglioramento dei sintomi riportato dai nostri pazienti non poteva essere attribuito ad un abbassamento dei livelli di pollini o inquinanti. Lo studio descritto è stato accettato dalla rivista internazionale ‘Rhinology’. Sebbene il risultato dello studio possa sembrare ovvio ai non addetti ai lavori, in realtà si tratta della prima dimostrazione scientifica che certifica – osserva – in una popolazione di soggetti allergici, l’utilità dell’indossare la mascherina per prevenire sintomi nasali soprattutto nei mesi di intensa pollinazione”. 

“Ovviamente questi riscontri non devono essere interpretati come ‘alternativi’ alle misure terapeutiche previste per la rino-congiuntivite allergica sia per l’impossibilità di usare la mascherina in tutto l’arco delle 24 ore sia per la mancata prevenzione a carico degli occhi – evidenzia l’Aaiito – A differenza dell’allergia ad acari della polvere, muffe ed epiteli animali in cui sono previste precise norme preventive (uso di aspirapolvere, depuratori dell’aria, coprimaterassi e copricuscini) per ridurre l’inalazione degli allergeni, poco o nulla è possibile fare per prevenire l’inalazione dei pollini salvo chiudersi ermeticamente in casa tutto il giorno. Certamente l’uso delle mascherine non è scevro da fastidi come ad esempio la sensazione di non respirare bene, sudorazione, arrossamenti da contatto, però il loro utilizzo è indispensabile per la riduzione del rischio di contagio da Sars Cov-2 ed è verosimile che questa necessità non possa essere evitata nell’immediato e, si spera, non debba essere ripresa per possibili (e, sembra, verosimili) pandemie future”. 

(Adnkronos)