Contro la sclerosi multipla, “per fortuna in questi anni con la diagnosi precoce si è riusciti a raggiunge un risultato molto più efficace e in tempi rapidi rispetto a quanto avveniva in passato. Trattiamo la malattia fin dall’esordio e questo è uno dei più grandi passi avanti nella gestione della patologia”, perché “un trattamento precoce impatta sull’evoluzione e la prognosi. Oggi dal punto di vista terapeutico abbiamo dei farmaci in grado di modificare la storia naturale della sclerosi multipla. I pazienti diagnosticati precocemente, e che da subito seguono la terapia, nell’80% dei casi possono posticipare la progressione della malattia in forme più gravi, compresa la disabilità, di 15-20 anni”. Così all’Adnkronos Salute Antonio Uccelli, neurologo e direttore scientifico dell’Irccs ospedale Policlinico San Martino di Genova, facendo il punto sulla ricerca per la sclerosi multipla in occasione della Giornata mondiale che si celebra il 30 maggio.
“Questi farmaci ad alta efficacia – sottolinea – sono in grado di farci immaginare che le persone trattate precocemente potrebbero non raggiungere mai la disabilità grave, o farlo in arco temporale molto lungo. Poi abbiamo anche un monitoraggio più efficace con la risonanza magnetica e nuovi biomarcatori, che ci permetterà di essere capaci di cambiare il tiro della terapia evidenziando immediatamente se la cura sta andando bene o se la malattia galoppa”.
Diventerà una patologia a gestione cronica? “Sì – risponde Uccelli – è una patologia che possiamo immaginare di gestire cronicamente e sempre più affidandoci alle possibilità della gestione domiciliare, con una richiesta sempre più rara dell’ospedalizzazione”. Ma in Italia la rete dei centri per la sclerosi multipla funziona? “Assolutamente sì – assicura lo specialista – ed è di elevatissimo livello in tutta la Penisola. Il livello di competenze dei neurologi è elevato e questo anche grazie alle attività dell’Aism e delle società scientifiche. C’è quindi una rete capillare di strutture in grado di gestire i pazienti”.
Guardando oltre le terapia farmacologica, Uccelli fa il punto sulle nuove frontiere. Riguardo all’impiego di staminali mesenchimali, approccio che è stato studiato subendo però una battuta d’arresto, “sono sicure, ma non bloccano la malattia”, ricorda il neurologo. “Nei casi in cui è necessario contenere l’evoluzione della patologia, questo tipo di approccio è molto meno efficace ed impattante. Le terapie riparative – evidenzia Uccelli – sono uno degli obiettivi della ricerca clinica e traslazionale. Ad oggi i tentativi mirati a cercare di riparare il danno non sono stati un successo. Siamo molto bravi nel prevenire la comparsa del danno, ma nel momento in cui la malattia ha una fase di progressione anche i farmaci disponibili possono arrivare fino a un certo punto, rallentando questa ‘corsa’ nel 20-30% dei casi. Questo ci dice che siamo di fronte a una situazione insoddisfacente: moltissimi ricercatori stanno lavorando sul fronte delle terapie cellulari, tuttavia al momento non hanno dato i risultati sperati”.
Altra frontiera promettente è quella delle cellule staminali ematopoietiche. “Sono un trattamento efficacissimo – rimarca lo specialista – anche se gli studi che puntano a dimostrare un’efficacia superiore a quella dei farmaci ancora non sono stati pubblicati definitivamente. Ma ritengo che siano il trattamento più efficace a livello preventivo, finalizzato a uccidere le cellule cattive come avviene nella leucemia. L’obiettivo è ridare all’organismo, grazie alle staminali autologhe, cellule che hanno meno propensione ad attaccare il sistema nervoso. Ovvero, rigenero un sistema immunitario che così non attacca il mio cervello. C’è però un dato: è limitato a forme di sclerosi aggressive con effetti collaterali importanti e in rarissimi casi anche mortali. Può essere applicato nelle forme maligne della malattia, che sono meno del 5% delle persone con sclerosi multipla. Il suggerimento è di tentare prima il il trattamento farmacologico e poi, se non si ottengono risultati, provare la strada del trapianto di cellule ematopoietiche”.
Secondo Uccelli, “nei prossimi anni la strada sarà il trattamento combinato: da una parte i farmaci che già utilizziamo, e poi aiutare il sistema immunitario con il trapianto. Quindi attivare una risposta precoce e poi usare i trattamenti che favoriscono la riparazione del tessuto. E’ immaginabile – conclude – far convogliare in questa frontiera anche le micromolecole o le nanomolecole che intervengono con i geni del sistema nervoso per bloccare i progressi degenerativi”.