(Adnkronos) –
Un farmaco salva-ossa che da un lato aumenta la formazione di nuovo tessuto osseo e dall’altro ne riduce il riassorbimento. Da una parte stimola gli osteoblasti, le cellule ‘amiche’ che danno massa all’osso; dall’altra inibisce le cellule ‘nemiche’ che gliela tolgono, gli osteoclasti. E’ l’anticorpo monoclonale romosozumab, sviluppato dalla belga Ucb in collaborazione con l’americana Amgen, che ha ottenuto dall’Agenzia italiana del farmaco Aifa la rimborsabilità per il trattamento dell’osteoporosi severa nelle donne in post-menopausa ad alto rischio di frattura. “Una terapia osteo-regolatrice unica nel suo genere”, spiegano gli esperti che oggi a Milano hanno presentato “la prima novità nel trattamento dell’osteoporosi dopo 15 anni”, proponendo “un nuovo paradigma contro le fratture da fragilità ossea: l’approccio sequenziale”.
Se oggi i farmaci anti-osteoporosi sono classificati in anabolici, quelli che stimolano gli osteoblasti, e anti-riassorbitivi, quelli che riducono l’attività degli osteoclasti, “romosozumab rappresenta una novità assoluta in questo panorama – afferma Maurizio Rossini, professore ordinario di reumatologia all’Università degli Studi di Verona, direttore dell’Unità operativa di Reumatologia dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata della città veneta -. Blocca infatti la sclerostina, una proteina prodotta dall’organismo”, che regola il turnover della densità ossea perché “inibisce l’attività degli osteoblasti e nello stesso tempo stimola gli osteoclasti”. Legando e requisendo la sclerostina, romosozumab fa l’opposto funzionando da “bone builder”, cioè da costruttore d’osso: “In un anno riesce a incrementare la massa ossea quanto gli altri farmaci riescono a fare solo dopo almeno 5 anni”, sottolinea lo specialista.
“Gli studi registrativi – ricorda – hanno dimostrato che un anno di trattamento con romosozumab riduce il rischio di fratture vertebrali da fragilità del 70%” e oltre, quasi “il doppio rispetto al gold standard alendronato”. Non solo: “La strategia terapeutica cosiddetta sequenziale, che prevede un anno di romosozumab seguito da un trattamento anti-riassorbitivo con difosfonati o denosumab, permette di ottenere in 2 anni risultati che attualmente richiederebbero 7 anni”. (segue)