(Adnkronos) –
Pancia gonfia per aver masticato caramelle o gomme sugar-free? Scienziati americani dell’università della California (Uc) di Davis svelano una possibile causa dell’intolleranza al sorbitolo, dolcificante utilizzato in diversi prodotti alimentari ‘senza zucchero’: questa condizione potrebbe dipendere da cambiamenti del microbioma intestinale. Più precisamente dalla scomparsa di particolari batteri per effetto dell’assunzione di antibiotici o di una dieta ricca di grassi, suggerisce lo studio. Il lavoro, condotto sui topi e pubblicato su ‘Cell’, offre “una base di partenza completamente nuova per approcci volti a diagnosticare, prevenire e trattare l’intolleranza al sorbitolo”, spiega l’autore senior Andreas Bäumler, vicepresidente Ricerca del Dipartimento di Microbiologia medica e Immunologia dell’Uc Davis.
Il sorbitolo – ricordano i ricercatori – è un alcol zuccherino usato in chewing gum, mentine e dolciumi sugar-free. In natura è presente in albicocche, mele, pere, avocado e altri cibi, e ad alte concentrazioni può provocare gonfiore, crampi e diarrea. In alcune persone, tuttavia, ne basta una piccola quantità per causare disturbi digestivi. Una condizione nota appunto come intolleranza al sorbitolo. “Il nostro studio indica che la degradazione del sorbitolo da parte di microbi” della flora intestinale “normalmente protegge dall’intolleranza” alla sostanza, che può essere invece causata da “una compromissione della capacità microbica di scomporre il sorbitolo”, afferma Jee-Yon Lee del team di Bäumler, primo autore della ricerca.
Per prima cosa, attraverso analisi metagenomiche gli scienziati hanno individuato quali batteri intestinali hanno geni che producono l’enzima necessario a degradare il sorbitolo. Tra questi, hanno identificato quelli che erano abbondanti prima di un trattamento con farmaci antibiotici, ma non dopo. Si sono così concentrati sui microbi della famiglia Clostridium. Questi batteri sono anaerobici, cioè non gradiscono gli ambienti in cui c’è ossigeno. In topi ai quali venivano somministrati antibiotici, o che venivano nutriti con una dieta ricca di grassi saturi, gli studiosi hanno osservato un ridotto utilizzo di ossigeno da parte delle cellule di rivestimento (epitelio) dell’intestino. Ciò aumentava la quantità di ossigeno a livello intestinale, riducendo il numero di batteri del genere Clostridium. E questa carenza di Clostridia impediva la ‘digestione’ del sorbitolo.
A questo punto i ricercatori hanno provato a ripristinare la popolazione di batteri Clostridium nell’intestino dei topi, in modo che questi potessero tornare a scomporre il sorbitolo. In un esperimento hanno alimentato i roditori con Anaerostipes caccae, un batterio intestinale che produce butirrato. Il butirrato è un acido grasso a catena corta che migliora l’utilizzo di ossigeno da parte dell’epitelio intestinale, riducendo la quantità di gas ‘libero’ nell’intestino crasso. La regolazione della presenza di ossigeno con Anaerostipes caccae ha ripristinato i normali livelli di Clostridia. Ciò proteggeva i topi dalla diarrea indotta dal sorbitolo, anche dopo che l’apparato digerente degli animali aveva eliminato i batteri produttori di butirrato.
Gli scienziati ipotizzano che la mesalazina (5-aminosalicilato) o mesalamina – un farmaco impiegato per trattare la colite ulcerosa, il morbo di Crohn e altre malattie infiammatorie croniche intestinali – possa essere efficace contro l’intolleranza al sorbitolo negli esseri umani. La mesalazina funziona infatti in modo simile ai batteri produttori di butirrato, ricreando nell’intestino un ambiente con poco ossigeno, ovvero quello preferito dai Clostridia.
Lo studio ha “un’importante limitazione”, ammettono gli autori: rispetto all’uomo, i topi possono tollerare livelli di sorbitolo molto più elevati, quindi “saranno necessari studi clinici per verificare se la mesalazina possa trattare l’intolleranza al sorbitolo umana”. Ciò precisato, per Lee “questa scoperta è cruciale, anche visto l’uso prevalente di sorbitolo e simili nella produzione di alimenti dietetici cheto-friendly ad alto contenuto di grassi”. Più in generale, conclude, la ricerca “evidenzia l’importanza dell’utilizzo di ossigeno da parte dell’epitelio intestinale per mantenere un sano equilibrio nella flora batterica, specie dei Clostridia, per una corretta digestione di alcuni zuccheri”.