Parenti medici di famiglia morti per Covid: “Per noi nessuna tutela”

“Tutele e riconoscimenti”. A chiederle sono i parenti dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta morti per Covid, circa 140 in Italia, che si sono uniti nell’associazione ‘A mani nude’, perché “a differenza dei medici ospedalieri, dipendenti dal Ssn, queste categorie di sanitari, sin dall’inizio in prima linea nella lotta alla pandemia ed esposti ai rischi senza le più basilari protezione nella prima fase, ad oggi non hanno tutele”, spiega all’Adnkronos Salute, Gennaro Avano, fondatore dell’associazione, insieme alla sorella, e figlio di un medico di famiglia 66enne del quartiere Barra di Napoli, morto per coronavirus a dicembre 2020. 

“L’Inail non ci copre perché i medici di famiglia sono parasubordinati – spiega – e le assicurazioni private fanno forza su contratti sottoscritti in precedenza che non comprendono il Covid tra le cause di morte per infortuni, che non è quindi indennizzabile. Inoltre – aggiunge – neanche il Disegno di legge n. 2350, presentato in Senato – spiega – ci tutela perchè all’articolo 2 vengono indicate come categorie che hanno diritto all’assegno una tantum in caso di morte del medico: il coniuge, i figli minori, figli maggiorenni inabili al lavoro, genitori, fratelli minori, fratelli maggiorenni inabili al lavoro. In questo caso la moglie deve risultare a carico, ma la maggior parte delle nostre mamme – spiega Avano – lavora, e i figli sono quasi tutti maggiorenni, data l’età media alta dei medici di famiglia italiani”.  

“Noi ad esempio abbiamo solo un indennizzo di reversibilità dell’Enpam per mamma e per mia sorella fino a quando compirà 26 anni. Niente altro. La nostra associazione nasce soprattutto per unire le forze e mantenere la memoria dei nostri cari, ma anche per far sentire le nostre ragioni e ottenere dallo Stato il riconoscimento del valore dell’operato dei nostri medici-eroi, affinché la loro perdita non sia solo un numero che fa notizia al telegiornale. Non pensiamo tanto a denunce legali o a Class action, perché ogni caso è diverso dall’altro e sarebbero difficili da sostenere – spiega – ma puntiamo ad ottenere il giusto riconoscimento giuridico dei diritti di lavoratori che hanno combattuto come gli altri. Troppo spesso ‘a mani nude’ contro il virus”, conclude. 

(Adnkronos)