Pediatra: “Minimo storico nascite non sorprende, trend continuerà”

Il ‘minimo storico’ delle nascite in Italia, arrivate nel 2022 sotto i 400mila, “non è una sorpresa. Già lo scorso anno avevamo sfiorato questi numeri. E’ assolutamente ciò che si prevedeva. E’ un trend che conosciamo e che continuerà negli anni futuri su queste percentuali, a meno che non accada qualcosa che possa addirittura peggiorarlo. Migliorarlo, invece, non è facile”. Così Rino Agostiniani, consigliere nazionale della Società italiana di pediatria (Sip) ed esperto di denatalità, commenta all’Adnkronos Salute i dati Istat sulle nascite, ancora in calo, nel nostro Paese.

A creare il mix che svuota le culle in Italia “per due terzi – spiega Agostiniani – contribuisce una componente difficilmente modificabile, ovvero la progressiva riduzione del numero delle donne in età fertile per il crollo delle nascite che c’è stato tra il 1975 e il 1995. Rispetto al 2008 abbiamo meno donne in età fertile e su questo si può agire poco. E poi abbiamo un indice di fecondità basso, 1.24/1.25. Su questo si può incidere di più, ma negli ultimi anni non ci sono state strategie adeguate per modificarlo”. Per Agostiniani, dunque, “azioni concrete da parte della politica ben vengano, perché un Paese senza bambini è senza futuro. In prospettiva, infatti, mancherà l’elemento fondamentale del welfare della nazione, con una percentuale di over 65 ben maggiore di quella dei giovani e una difficile sostenibilità delle politiche sociali”.

Qualche correttivo, però, è possibile. “Abbiamo dei modelli utili, in Italia, su base regionale – osserva l’esperto – Ad essere messa meglio in questo campo è la provincia autonoma di Bolzano che dimostra che, se si creano condizioni favorevoli – con servizi, lavoro, sostegno – le giovani coppie hanno figli più facilmente”. Esempi positivi arrivano anche da altri Paesi: “In Francia si è puntato soprattutto su strategie di incentivazione economica e l’indice di fertilità è decisamente più alto di quello italiano – evidenzia Agostiniani – Nei Paesi scandinavi si è puntato invece soprattutto sul fornire servizi di assistenza all’infanzia, quindi per facilitare le famiglie con bambini piccoli. E anche questo sistema ha pagato. Probabilmente un insieme di queste misure darebbe sicuramente dei buoni frutti. Ma sono percorsi che vanno costruiti – avverte il pediatra – a partire da evitare che i nostri giovani vadano via per lavorare all’estero, perché anche questo fenomeno conta”.

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(Adnkronos)