(Adnkronos) – Mamme e papà si accorgono della sua presenza quando le guance dei loro bambini diventano all’improvviso rossastre. E’ questa eruzione cutanea uno dei sintomi più caratteristici del parvovirus B19, meglio noto come quinta malattia, infezione che nei bambini e negli adulti sani è relativamente lieve o anche asintomatica, ma in alcuni gruppi di persone, come immunodepressi o affetti da patologie ematologiche tipo anemia falciforme, e nelle donne in gravidanza, può essere più grave. Dopo un crollo ai tempi della pandemia, gli esperti segnalano un’impennata: i casi sono in aumento in Europa, e negli Usa si rileva un vero boom. A fare il punto un focus dedicato alla malattia infettiva sulla rivista scientifica ‘Jama’ online.
I numeri raccolti dai Cdc (Centri americani per il controllo e la prevenzione delle malattie) rendono l’idea, vengono definiti “impressionanti”: considerando tutte le fasce d’età, la quota di persone con anticorpi IgM contro il parvovirus B19, segno di infezione recente, è aumentata da meno del 3% nel 2022-2024 al 10% nel giugno 2024. Tra i bimbi di 5-9 anni, la percentuale è addirittura balzata dal 15% nel 2022-2024 al 40% nel giugno 2024. E tra i campioni di plasma raccolti, la quota con un’elevata concentrazione di Dna del parvovirus è aumentata dall’1,5% di dicembre 2023 al 19,9% di giugno 2024.
L’infezione si trasmette principalmente tramite goccioline emesse con tosse o starnuti da una persona infetta. La crescita dei casi registrata negli Usa ha spinto i Cdc a emettere di recente un avviso sanitario al riguardo, anche perché non esiste un vaccino o una terapia antivirale per l’infezione.
Dato l’aumento di quest’anno, “gli operatori sanitari devono davvero stare in guardia” sull’infezione da parvovirus B19 tra i pazienti ad alto rischio, è il monito lanciato su ‘Jama Medical News’ da Alfonso Hernandez-Romieu, funzionario medico del Centro nazionale per l’immunizzazione e le malattie respiratorie dei Cdc. Probabilmente, è l’analisi degli esperti, non è una coincidenza che le infezioni da parvovirus B19 siano sembrate diminuire durante i primi anni della pandemia di Covid, quando Dad e distanziamento introdotti per fermare Sars-CoV-2 hanno ridotto al minimo i contatti tra i bambini. Nel 2018-2019, i livelli più alti di test positivi, che erano quelli rilevati tra i bambini dai 3 ai 5 anni, erano dal 2% al 5%, osserva Hernandez-Romieu. Nel 2021-2022, in pandemia, i tassi di quella fascia d’età sono scesi a meno dell’1%. Ma ora sembra che il parvovirus B19 stia recuperando il tempo perduto “seguendo lo stesso schema di tanti altri patogeni” come il virus respiratorio sinciziale (Rsv), evidenzia Alasdair Munro, National Institute for Health and Care Research del Regno Unito.
La ridotta esposizione durante la pandemia ha portato a una ridotta immunità della popolazione, consentendo “una notevole ripresa”, ha spiegato Munro. Nonostante un notevole aumento delle infezioni da parvovirus B19 a livello locale, precisa però l’esperto, “non abbiamo notato alcun aumento della gravità delle infezioni o un cambiamento nella natura delle complicazioni”, ha affermato Munro. Per la maggior parte delle persone, è solo qualcosa che fa starnutire. Secondo i Cdc, non tutti i contagiati sviluppano sintomi. Tra le persone sane, chi si ammala invece in genere sviluppa sintomi in 2 fasi: la prima inizia circa una settimana dopo l’infezione e dura circa 5 giorni, con febbre, malessere, dolori muscolari. Ed è in questo lasso di tempo che il parvovirus B19 è più contagioso (complici cariche virali più alte e tosse e starnuti).
Una settimana o dieci giorni dopo questa fase, inizia la seconda, quando i bambini spesso sviluppano l’eruzione cutanea rosso vivo sul viso, da cui deriva il soprannome ‘malattia della guancia schiaffeggiata’. A quel punto, però, quando è ormai chiaro che si è trattato di quinta malattia, i pazienti non sono più contagiosi. Il rossore sulle guance potrebbe essere seguito da 1 a 4 giorni dopo da un’eruzione cutanea in altre parti del corpo o dolore alle articolazioni. La maggior parte delle persone necessita solo di trattamenti per alleviare i sintomi. Nelle persone a rischio, l’infezione può portare a complicazioni più gravi, anche se in una piccola percentuale di casi, perché il parvovirus B19 infetta i precursori dei globuli rossi nel midollo osseo, il che può causare anemia, soprattutto nelle persone immunodepresse o con disturbi emolitici cronici, osserva Hernandez-Romieu.
Se le donne incinte trasmettono l’infezione al feto, la maggior parte dei casi si risolve senza problemi, ma possono verificarsi complicazioni (anemia fetale o altro) circa nel 5-10%, secondo i Cdc. Il parvovirus B19 in gravidanza non è stato associato come le infezioni da Zika e Oropouche a malformazioni congenite, informa Laura Riley, direttrice del Dipartimento di ostetricia e ginecologia alla Weill Cornell Medicine. È tra l’altro probabile che la maggior parte delle donne incinte che scoprono di essere state esposte al parvovirus B19 non contraggano l’infezione. Questo perché, secondo i Cdc, c’è una certa immunità nella popolazione: all’età di 40 anni oltre il 70% degli adulti presenta anticorpi rilevabili. “La buona notizia è che molti ne hanno sofferto da bambini” e non l’avranno più, dice Riley suggerendo alle donne incinte che scoprono di essere state esposte al parvovirus B19 o presentano sintomi di informare il medico, tenendo presente che anche se hanno l’infezione e trasmettono il virus al feto “non significa che andrà tutto male”, ma solo che saranno monitorate.
In conclusione, suggerisce Hernandez-Romieu, sebbene questa infezione causi solo sintomi lievi, se non nulli, nei bambini e negli adulti sani, i medici dovrebbero avvertire i pazienti ad alto rischio del recente aumento dei casi e discutere misure per ridurre al minimo il rischio seguendo le linee guida previste per la prevenzione delle infezioni virali respiratorie.