(Adnkronos) – Un italiano su 2 teme di poter soffrire di Alzheimer in futuro, ma appena 1 su 10 dichiara di essere molto informato sulla malattia. Non mancano gli ottimisti: 4 italiani su 5 sono convinti che la ricerca possa portare a terapie efficaci. E’ quanto emerge da un’indagine condotta per conto di Airalzh (Associazione italiana ricerca Alzheimer), presentata oggi a Roma al ministero della Salute in occasione della conferenza stampa per celebrare i primi 10 anni dell’attività di ricerca medico-scientifica di Airalzh Onlus. L’indagine, di Walden Lab con il supporto operativo di Eumetra MR, si è basata su un campione di 800 soggetti, rappresentativo degli italiani di età pari o superiore ai 40 anni.
“La percezione della malattia di Alzheimer come patologia grave e potenzialmente rischiosa per ciascuno di noi è risultata ampiamente condivisa nella popolazione, anche se sono molto scarse le conoscenze, in particolare su prevenzione, diagnosi precoce e cura – afferma Paolo Anselmi, Founder & Managing Partner di Walden Lab – Molto elevato è, però, l’interesse nel ricevere informazioni su questi aspetti spiegati con un linguaggio chiaro e mezzi in grado di raggiungere l’ampia platea della popolazione”.
L’Alzheimer è considerata una malattia “molto grave” dal 68% degli italiani; solo il cancro (83%) e la sclerosi multipla (71%) sono considerate più gravi. Molto elevata (49%) è la preoccupazione che la malattia possa in futuro riguardarci personalmente o colpire una delle persone che ci sono care. E già oggi il 28% del campione dichiara che tra i familiari più stretti ci sono o ci sono state persone che hanno sofferto di Alzheimer. Una percentuale che raggiunge il 49% se si considerano anche gli amici e i conoscenti. Nonostante l’elevata percezione di gravità e di rischio associata all’Alzheimer e una diretta esperienza della malattia, che riguarda quasi la metà del campione, solo una ristretta minoranza (15%) si dichiara oggi “molto informata” su questa malattia. A cui si aggiunge un 43% che si dichiara “abbastanza informato”. Alla richiesta di indicare il proprio livello di informazione sui diversi aspetti della malattia, la maggioranza si dichiara molto o abbastanza informata sui sintomi (64%), sul decorso (60%) e sull’esito della malattia (59%) mentre è solo una minoranza a dirsi informata sulle possibilità di cura (41%), di diagnosi precoce (39%) e di prevenzione (33%).
I sintomi maggiormente associati alla malattia – risulta ancora dall’indagine – sono la perdita di memoria (85%), la perdita della capacità di orientamento (69%) e la perdita di contatto con i propri cari (63%) e con il mondo esterno (58%). Tra i fattori di rischio, ce n’è uno che è percepito di gran lunga come dominante: la presenza di casi di Alzheimer in famiglia (75%), mentre meno considerati risultano la limitata attività intellettuale (38%) e altri fattori ‘non specifici’ quali la depressione (29%), la dieta poco sana (26%) e il fumo (22%). E’ infatti solo una minoranza (32%) a considerare uno stile di vita sano utile per la prevenzione dell’Alzheimer. Particolarmente poco considerata la buona qualità del sonno.
Guardando al futuro, prevale un atteggiamento ottimistico: l’81% ritiene molto o abbastanza probabile che vengano trovate terapie efficaci per curare l’Alzheimer e un’analoga percentuale (83%) ritiene decisivo il ruolo della ricerca per l’individuazione di nuove cure e forme di prevenzione.
In linea con gli elementi evidenziati dall’indagine, si conferma l’interesse del campione a ricevere informazioni sulla malattia in grado di colmare le ampie lacune informative. In particolare, si vorrebbe saperne di più sulle modalità di prevenzione (61%), le possibilità di diagnosi precoce (60%) e le prospettive di cura (55%). Fondamentale risulta l’affidabilità della fonte informativa, con il campione che esprime chiaramente interesse nel ricevere informazioni da realtà specializzate nella ricerca su cura e prevenzione, preferibilmente inserite in strutturate partnership con i migliori centri di ricerca a livello mondiale.