(Adnkronos) – Non solo “contatti interpersonali molto stretti fra persone”. All’origine del numero crescente di casi di vaiolo delle scimmie che sta allarmando le autorità sanitarie internazionali “potrebbe esserci anche un’altra possibilità: che ci sia un’infezione in qualche animale serbatoio non più soltanto africano, ma anche ‘locale’, per esempio un roditore”. Un’ipotesi che “al momento si può solo azzardare”, ma che appare realistica al virologo Pasquale Ferrante, professore alla Temple University di Philadelphia negli Usa, direttore sanitario e scientifico dell’Istituto clinico Città Studi di Milano. In un’intervista all’Adnkronos Salute, l’esperto invita a “indagare”, con il coinvolgimento “dei colleghi veterinari, oltre che dei virologi esperti di virus umani”.
“Sicuramente è una pista da seguire”, avverte Ferrante all’indomani dell’allarme lanciato ieri dall’Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie: “Se si verifica la trasmissione da uomo ad animale, e il virus del vaiolo delle scimmie si diffonde in una popolazione animale, c’è il rischio che la malattia possa diventare endemica in Europa”, hanno avvertito ieri gli esperti in una valutazione del rischio ‘monkeypox’. Potrebbe dunque già essere successo che un ‘nostro’ animale sia stato infettato e sia diventato serbatoio? “Se è successo non lo so”, risponde lo specialista che però ritiene corretto il monito Ue. “So di certo, infatti, che un episodio pregresso ce l’abbiamo”.
“Nel 2003 – ricorda Ferrante – negli Stati Uniti furono osservati 47 casi di vaiolo delle scimmie tra gli uomini, sia confermati sia sospetti, e all’epoca accadde che in alcune zone degli Usa erano stati importati dei roditori direttamente dall’Africa, successivamente entrati in contatto stretto con roditori locali. Il monkeypox arrivò così al cosiddetto cane della prateria, un grosso topo che vive nelle zone desertiche e semidesertiche del sud, sud-ovest degli States, e passò agli uomini”. Anche alla luce di questo precedente, “sarebbe opportuno cominciare a raccogliere elementi – esorta il virologo – e verificare un possibile coinvolgimento di roditori locali. La preoccupazione dell’Ecdc è grossa – precisa Ferrante – perché noi abbiamo moltissimi animali che sono potenzialmente suscettibili al vaiolo delle scimmie, anche i cani. Può essere una cosa di cui tenere conto, ma va studiata facendo le opportune indagini”.
TRASMISSIONE SESSUALE – “No allo stigma” nei confronti di gruppi sociali o abitudini sessuali. Se c’è “un punto fermo” da cui partire nell’analizzare i casi di vaiolo delle scimmie che stanno aumentando in un numero crescente di Paesi, è questo secondo Ferrante.
“Il rapporto sessuale favorisce la trasmissione di moltissimi agenti, anche non noti per essere sessualmente trasmessi – spiega l’esperto – perché chiaramente, se una persona ha un’infezione in atto, soprattutto con il virus nel sangue, a livello delle mucose ci può essere trasmissione. In questo caso, però – precisa – è abbastanza evidente che la fonte principale di infezione sono le famigerate ‘droplets’, le goccioline di saliva anche abbastanza corpose che emettiamo in formato aerosol mentre parliamo, quando starnutiamo o tossiamo, mentre ci baciamo. Quindi può darsi anche”, tiene a puntualizzare Ferrante, “che sia una concomitanza senza un rilievo particolare quella di avere osservato i casi di ‘monkeypox’ in questi gruppi di persone”, prevalentemente maschi che fanno sesso con maschi.
“In altre parole – scandisce lo specialista – non credo che la trasmissione sessuale sia la causa predominante. Qui, anche se è tutto da indagare e per adesso si tratta di ipotesi – puntualizza – ci troviamo di fronte secondo me a una zoonosi che è partita da animali che si sono infettati, forse animali domestici, e si è diffusa poi per ragioni di vicinanza e contatto stretto fra persone. Al di là del rapporto sessuale, anche il parlare, il vivere insieme, può essere un fattore di trasmissione. No allo stigma”, ribadisce il virologo.
IL VIRUS E’ MUTATO? – “Casi anomali”: così l’Organizzazione mondiale della sanità ha definito le infezioni da vaiolo delle scimmie che aumentano in diversi Paesi. Ma il virus può essere mutato come alcuni credono possibile, magari assumendo una maggiore capacità di trasmissione uomo-uomo? Ferrante lo ritiene improbabile. “Prima di ipotizzare cambiamenti nel genoma del virus e nelle sue molecole di superficie, direi che bisogna aspettare, e molto”, ammonisce l’esperto. E in effetti, secondo le prime analisi condotte dall’Inmi Spallanzani di Roma sulle sequenze virali dei pazienti italiani, i virus sono “tutti risultati affini al ceppo dell’Africa Occidentale”.
Il motivo principale per cui serve cautela, spiega Ferrante, è il fatto che “il virus del ‘monkeypox’, così come quello del vaiolo umano, è un virus a Dna a doppia elica, fra l’altro molto grosso per dimensioni”, precisa lo specialista, ricordando che “all’epoca del vaiolo il virus lo si poteva quasi osservare al microscopio ottico, per quanto era grande la particella”.
Questa caratteristica “significa qualcosa anche da un punto di vista biologico: vuol dire stabilità. Essendo un virus a Dna a doppia elica, per di più appunto di dimensioni ragguardevoli – insiste Ferrante – quello del vaiolo delle scimmie, come anche gli herpesvirus tra cui la varicella, è uno di quei virus che non va facilmente incontro a mutazioni, ma che anzi si sono dimostrati finora assolutamente stabili. Al contrario dei coronavirus come il Sars-CoV-2 di Covid-19, virus a Rna inclini a mutare” per assenza di ‘correttori di bozze’, ossia i meccanismi che durante la replicazione limitano il rischio di errori casuali dai quali originano le varianti.