Arriva la stagione fredda e, con essa, il virus respiratorio sinciziale, principale causa delle bronchioliti nei bambini e di preoccupazione per i genitori. La bronchiolite, infatti, colpisce principalmente i piccoli sotto i 10-12 mesi ed è la causa più frequente di ricovero ospedaliero in questa fascia di età. Tanto che talvolta è necessario ricorrere alla terapia intensiva. In Italia la stagione epidemica va da novembre a marzo, come spiegano, per la Società italiana di pediatria (Sip), Eugenio Baraldi, responsabile dell’Unità di Terapia intensiva neonatale azienda ospedale-università di Padova, Fabio Midulla, presidente Società italiana per le malattie respiratorie infantili (Simri) e Susanna Esposito, responsabile Tavolo tecnico malattie infettive Sip.
Nonostante si tratti di un’infezione comune l’informazione non è così diffusa mentre sarebbe utile che i genitori avessero le necessarie indicazioni per riconoscere la malattia e sapere cosa fare. “Alcune semplici misure sono in grado di ridurre drasticamente la diffusione del virus in particolare nei neonati e lattanti”, dicono i pediatri. Ogni anno il virus respiratorio sinciziale è responsabile di circa 3,4 milioni di ricoveri nel mondo con un’alta mortalità nei paesi in via di sviluppo. I sintomi compaiono dopo 2-6 giorni dal contatto e la durata media della bronchiolite è 5-7 giorni. Ma anche altri virus come il rinovirus possono causare la bronchiolite.
Il virus si diffonde da persona a persona molto facilmente, soprattutto attraverso il contatto con le secrezioni del naso e la saliva ma anche attraverso microparticelle disperse nell’aria con gli starnuti o i colpi di tosse da parte di una persona infetta. I lattanti quasi sempre contraggono l’infezione dai contatti con familiari raffreddati. Il virus può sopravvivere molte ore sulle superfici (tavoli, maniglie delle porte, cellulari, tastiere dei Pc) e si può contrarre, dunque, anche semplicemente toccando giocattoli o altri materiali contaminati. Il virus si diffonde rapidamente dove ci sono gruppi di bambini piccoli come negli asili. L’uso delle mascherine, il lavaggio delle mani e il distanziamento sociale durante la pandemia Covid hanno ridotto del 70-80% i casi di bronchiolite ma quando queste norme sono state rallentate si sono verificate importanti epidemie in numerosi paesi del mondo.
Ma come proteggere i bambini dal virus respiratorio sinciziale? La prima arma è il latte materno che contiene anticorpi contro numerosi agenti infettivi e riduce il rischio di infezioni gravi da virus respiratorio sinciziale e di ospedalizzazione per bronchiolite. Importante poi lavare le mani con acqua e sapone o con un gel alcolico prima di toccare il bambino, vale per i genitori come per le altre persone che entrano in contatto con il piccolo. Utile, poi, l’uso della mascherina in caso di raffreddore per chi si avvicina al bambino. Con sintomi di raffreddore bisogna astenersi dal baciare il bambino ed evitare di toccargli la faccia.
Il bambino, quindi, va tenuto lontano da altri bambini o adulti con il raffreddore. Altre regola fondamentale è lavare e disinfettare le superfici e gli oggetti (giocattoli) che vanno in contatto con il bambino. Vanno, poi, le sigarette in casa perché il fumo aumenta il rischio di infezione. Se poi il bambino è prematuro o affetto da malattie cardiache o polmonari serve chiedere al pediatra se vi sono le indicazioni all’utilizzo degli anticorpi monoclonali per la prevenzione delle infezioni da virus respiratorio sinciziale. Tutte queste misure, ovviamente, “aiutano a prevenire anche le infezioni respiratorie causate da altri virus e batteri”, aggiungono i pediatri.
In casi di sintomi, però, ci sono alcuni campanelli d’allarme per avvertire il pediatra. In particolare in presenza di difficoltà respiratoria: “respirazione veloce, tosse insistente, movimento delle pinne nasali, comparsa di fossetta al giugulo e rientramenti a livello sternale, respiro rumoroso o respirazione con sibilo udibile avvicinando l’orecchio alla bocca del bambino. Un segno di allarme è la comparsa di un colore violaceo delle labbra o del viso”.
E ancora: serve chiamare il pediatra anche in presenza di inappetenza, ovvero, l’assunzione di latte meno del 50% rispetto al solito, che è il primo segno che indica che il bambino sta peggiorando. Nei lattanti, infatti, la riduzione dell’alimentazione può rapidamente portare a disidratazione (labbra secche, poca pipì, pianto senza lacrime). Segnali da non trascurare sono anche le lunghe pause respiratorie (apnea) possono essere una complicanza dell’infezione da anche senza un quadro evidente di bronchiolite. I lattanti al di sotto dei 3 mesi sono più a rischio e possono deteriorare rapidamente. La scarsa reattività o la sonnolenza sono segni di allarme.
Per quanto riguarda la cura “non vi sono terapie efficaci per la bronchiolite. In caso di ospedalizzazione viene messa in atto una ‘terapia di supporto’ per mantenere un’adeguata idratazione e, se necessario, viene somministrato l’ossigeno. Nei casi gravi si ricorre alla ventilazione meccanica in terapia intensiva. Sono utili lavaggi nasali con soluzione salina e aspirazione delle secrezioni nasali (in particolare prima dei pasti). Importante incoraggiare il bambino ad assumere liquidi a piccoli sorsi o ad assumere pasti piccoli e frequenti. Farmaci come i broncodilatatori, i cortisonici e gli antibiotici non sono indicati di routine. Gli antibiotici in particolare non vanno utilizzati perché l’agente responsabile è un virus e le sovrainfezioni batteriche sono rare.
I bambini più a rischio di una bronchiolite grave sono i lattanti nati prematuri, con cardiopatie congenite, malattie polmonari croniche, malattie neuromuscolari e condizioni di immunodepressione. In questi bambini è possibile fare la profilassi contro il virus respiratorio sinciziale utilizzando un anticorpo monoclonale (Palivizumab) a somministrazione mensile dall’inizio della stagione epidemica. Il 30-40% di bambini che hanno avuto una bronchiolite, in particolare se hanno necessitato di ricovero, possono presentare episodi ricorrenti di broncospasmo fino all’età scolare e in certi casi vi può essere un’evoluzione verso l’asma. Queste conseguenze a lungo termine alterano la qualità di vita di questi bambini e delle loro famiglie. Una volta guariti dovrebbero essere seguiti nel tempo ed è utile fare una misurazione della funzionalità respiratoria (spirometria) una volta raggiunta l’età scolare.