MANTOVA – Il ritratto in fotografia Nella fotografia c’è una realtà così sottile che diventa più reale della realtà: questo il titolo della prima lezione del ciclo di incontri organizzati dagli Amici di Palazzo Te e dei Musei Mantovani che proseguirà l’esperienza straordinaria e nuova della “Scuola delle Arti” con un corso tutto speciale dedicato alla quarta tra le “belle arti”, la fotografia, appunto.
Al termine del corso sarà rilasciato un attestato valido secondo la normativa di legge.
La prima lezione, sabato 13 febbraio ore 16 -17,30 in diretta on line
Il ciclo dedicato al Ritratto, quindi, non solo dà continuità al percorso avviato in autunno con la Pittura, ma inaugura una straordinaria proposta di fusione tra gli esiti di bellezza ereditati dalle arti tradizionalmente indagate e i risultati ottenuti da una forma artistica slegata da codificazioni classiche e in continua evoluzione.
Chi è l’insegnante
Fotografo di fama internazionale, Joe Oppedisano, italiano per nascita, americano per formazione e cittadino del mondo per i suoi meriti professionali e artistici. La sua ricerca sul linguaggio affidato alla macchina fotografica gli ha permesso di trovare tecniche inedite e originali, capaci di rendere particolarmente vivo e ricco il linguaggio dell’immagine. La sua professionalità e l’eccezionalità della sua “arte” sono confermate da un curriculum ricchissimo, da una quarantina di mostre personali a livello internazionale, da numerose mostre collettive in tutto il mondo, dalla sua partecipazione alla Biennale di Venezia e, soprattutto, dagli unanimi apprezzamenti e riconoscimenti ottenuti. Joe Oppedisano, quindi, sarà un inedito sorprendente e straordinario professore per questo terzo corso della Scuola delle Arti, dove il “Ritratto in Fotografia” potrà aprire nuovi scenari non solo a chi apprezza la bellezza ma anche a chi vuole cercare di farne parte e di contribuire a costruirla.
Il programma completo
Sabato 20 febbraio ore 16 “L’OCCHIO OGGETTIVO – Il ritratto, specchio della società”
Nel 1900 la Kodak lancia sul mercato la “Brownie” e una nuova pellicola a rullo (formato 117) con emulsione ai sali d’argento. La fotocamera è compatta, leggera e, soprattutto, costa pochissimo ed è semplice da utilizzare (“Voi premete il pulsante, noi facciamo il resto”).
È una rivoluzione democratica: lo sguardo del fotografo ai apre sempre più verso il mondo esterno e il ritratto, da rappresentazione (la migliore possibile) del soggetto, si riempirà sempre più di nuove informazioni e nuovi contenuti, riuscendo a raccontare attraverso il singolo individuo le trasformazioni e, spesso, le contraddizioni della società contemporanea.
Sabato 27 febbraio ore 16 “L’OCCHIO SOGGETTIVO – Il ritratto, specchio dell’anima”
Il desidero di conoscere il limite del mezzo (e di superarlo) vive, probabilmente, il maggiore sforzo e la maggiore creatività nel ritratto fotografico.
Al fotografo non basta più ottenere il miglior ritratto possibile del soggetto: probabilmente non gli è mai bastato, ereditando dalla pittura il desiderio di esprimere in un ritratto l’essenza del soggetto. La ricerca è proseguita con sempre nuovi stimoli attraverso tutte le trasformazioni tecnologiche: dalla lastra al negativo, alla pellicola a sviluppo istantaneo e si è tutt’altro che esaurita con l’avvento della tecnologia digitale e dell’elaborazione elettronica dell’immagine fotografica.
Sabato 6 marzo ore 16 “L’AUTORITRATTO – Mi mostro, dunque sono”
L’autoritratto fotografico, pur nelle infinite possibili scelte interpretative, contiene un fondo di oggettività che non è aggirabile e che può rassicurare il soggetto che sceglie di ritrarsi, o creare forte disagio. I motivi per cui si sceglie di ritrarsi possono essere molti e molto diversi, ma la storia della fotografia dimostra che quasi sempre l’autoritratto è stato utilizzato come forma di indagine psicologica, una ricerca introspettiva per portare all’esterno forme di disagio sepolte e inconfessate, spesso con esiti drammatici.
Diverso è il selfie, un’evoluzione (o, forse, involuzione) dell’autoritratto: spesso svuotato di qualsiasi forma di indagine psicologica, più che premiare la propria vanità estetica, il selfie sembra voler premiare una forma di vanità sociale.
Informazioni e iscrizioni
• con mail a: scuoladellearti.mn@gmail.com, declinando le generalità e il numero di cellulare;
• con telefono al cell. 349.1344923 nei giorni di lunedì, martedì, mercoledì mattina dalle ore 9 alle 11 e giovedì pomeriggio dalle ore 15 alle 17
La storia della fotografia
Alla nascita della fotografia, nel 1839, l’utilizzo principale è nel ritratto, presentandosi come un rivoluzionario mezzo tecnico alternativo al ritratto pittorico; ma se quest’ultimo era destinato principalmente a monarchi, nobili e alla “vecchia” alta borghesia, la fotografia è uno strumento moderno, adatto a celebrare i nuovi potenti e padroni del mondo: gli industriali, i banchieri, i creatori dei nuovi imperi finanziari e industriali. Nelle aziende compaiono i ritratti dei fondatori, nelle case quelli dei gruppi familiari (possibilmente riunendo più generazioni, a mostrare la storia e la grandezza della famiglia).
Molti pittori subiscono il fascino della nuova tecnica e attrezzano i loro atelier con set fotografici e studi, ma l’utilizzo del mezzo risulta ancora molto limitato, a causa dell’ingombro e peso dell’attrezzatura e per i lunghi tempi di esposizione necessari a impressionare la lastra fotografica.
Negli studi sono presenti una serie di arredi, tavoli, sedie, finte balaustre, a cui il soggetto da ritrarre poteva appoggiarsi per aiutarsi a rimanere immobile per il tempo necessario.
I pochi che si avventurano all’esterno sono costretti a organizzare un carro-laboratorio contente la voluminosa attrezzatura. L’inglese Roger Fenton nel 1855, su incarico della Corona, parte con il suo carro trainato da un cavallo per fotografare la guerra in Crimea, ma non riesce a riprendere le sanguinose scene di battaglia (in parte non vorrà) e si limita a ritrarre i soldati nei momenti di riposo, intenti a prendere il te, servito da graziose cameriere (creando, probabilmente, il primo caso di fotogiornalismo “embedded” con le prime, inevitabili, critiche e polemiche).
Nel 1876 John Thompson porterà la sua attrezzatura (il termine “fotocamera” è prematuro) nelle strade di Londra, per documentare la vita e il lavoro delle persone che quotidianamente svolgono lì i loro mestieri. Un anno dopo pubblicherà il volume dal titolo anticipatore di “Street life in London”, accompagnato dalle lunghe ed esaustive didascalie del giornalista Adolph Smith. Il libro avrà un grandissimo successo, anche per la straordinaria qualità delle immagini stampate, dovuta alla nuova tecnica della “woodburytipia”.
“Street life in London” segna in qualche modo la nascita della “straight photography” (più che della “street photography”) e del reportage sociale, in contrapposizione al “pittorialismo fotografico” allora molto in voga.
Ma dovranno passare circa trent’anni e diverse innovazioni tecnologiche perché la fotografia diventi realmente un fenomeno sociale, alla portata di tutti e inizi a documentare il mondo e la vita quotidiana delle persone.