(Adnkronos) – La spesa per gli investimenti nel settore idrico sale a 13,5 miliardi di euro. E’ quanto si legge nella relazione annuale 2023 dell’Arera che è stata illustrata oggi dal presidente Stefano Besseghini. A partire dal mese di luglio 2022, l’Area, si legge, ha condotto le istruttorie per l’approvazione dell’aggiornamento biennale (2022-23) delle predisposizioni tariffarie di 48 gestioni (che interessano poco meno di 27 milioni di abitanti). Rispetto al 2021, la variazione media dei corrispettivi applicati all’utenza risulta pari a +4,97% con una certa eterogeneità a livello geografico: +3,32% nell’area Sud e Isole, +4,42% nel Nord-Est, +5,36% nel Centro, e a+6,26% nel Nord-Ovest.
Sulla base dei programmi degli interventi (che insieme ai piani delle opere strategiche fanno parte degli atti che costituiscono lo schema regolatorio di ciascuna gestione) trasmessi all’Autorità, sottolinea l’Arera, “gli investimenti programmati (al netto di contributi pubblici) si attestano a 208 euro/abitante a livello nazionale (corrispondenti a 52 euro/ab/anno), con i valori più alti registrati al Centro (286 euro/ab) e quelli più bassi nell’area Sud e Isole (132 euro/ab). Tenuto conto anche della disponibilità di fondi pubblici, la spesa per investimenti ammonta complessivamente a 13,5 miliardi di euro per il quadriennio (2020-2023)”.
Le verifiche compiute con riferimento ai costi delle immobilizzazioni computati in tariffa, sottolinea l’Arera, “hanno confermato i generali miglioramenti nella capacità di realizzazione degli investimenti programmati. Il tasso di realizzazione è infatti risultato (considerando complessivamente gli investimenti nel biennio 2020-2021) pari quasi al 100%, con un valore più contenuto per i gestori operanti nell’area Sud e Isole”.
Nel 2022, la spesa media sostenuta da una famiglia di 3 persone, con consumo annuo pari a 150 m3, risulta a livello nazionale pari a 326 euro/anno (2,17 euro per metro cubo consumato). Il dato è riferito a un campione di 63 gestioni (che erogano il servizio a circa 34 milioni di abitanti), con valore più contenuto nel Nord-Ovest (232 euro/anno) e più elevato nel Centro (390 euro/anno), area quest’ultima in cui i soggetti competenti hanno programmato, per il periodo 2020-2023, una maggiore spesa pro capite per investimenti da finanziare attraverso tariffa. Il valore, invece, si ferma a 132 euro/abitante nell’area Sud e Isole.
Guardando le voci che compongono la bolletta degli utenti domestici, sempre con consumi pari a 150 m3/anno, risulta che il 39,2% circa della spesa è imputabile al servizio di acquedotto, per il quale si spendono a livello nazionale 127,7 euro/anno, il 12,1% è invece attribuibile al servizio di fognatura (39,4 euro/anno) e il 29,2% a quello di depurazione (95,3 euro/anno). Infine, la quota fissa pesa per il 10,4% (33,9 euro/anno) e le imposte per il 9,1% (29,6 euro/anno). Nel 2022, l’Autorità ha condotto un ulteriore approfondimento sugli aspetti tecnici ed infrastrutturali sui più recenti dati a disposizione (2021) che, rispetto alla precedente Relazione, sono riferiti a un campione di gestioni più ampio, fissando come anno base per i confronti il 2016 (primo anno di rilevazione dei macro-indicatori di qualità tecnica).
Nello specifico, la media nazionale delle perdite idriche si attesta in media al 41,8% pari a 17,9 m3/km/gg, quest’ultimo dato mostra un miglioramento del 12% rispetto all’anno base sebbene persistano forti differenze a livello geografico (il cosiddetto water service divide). Lo stesso disallineamento a livello territoriale si riscontra anche nei dati relativi alle interruzioni di servizio, fortemente condizionati da alcune situazioni critiche a livello territoriale, che presentano valori mediamente bassi nel Nord Ovest (0,66 ore/anno) e nel Nord Est (0,68 ore/anno), valori superiori nel Centro (31,55 ore/anno) e più elevati nel Sud e Isole (204,69 ore/anno). Tuttavia, questo dato presenta una riduzione media rispetto al 2016 del 32%.
Infine, per quanto riguarda il sistema fognario, nonostante i miglioramenti rispetto all’anno base, sottolinea l’Arera, i dati evidenziano una quota di inadeguatezza degli scaricatori di piena (cioè gli apparati per evitare il sovraccarico e gli sversamenti dalle fognature in caso di forti precipitazioni) che nel Sud e nelle Isole risulta quasi il doppio di quella delle altre aree del Paese. In media a livello nazionale, il 20% degli scaricatori di piena risulta da adeguare alla normativa vigente, mentre gli allagamenti e sversamenti da fognatura sono pari a 4,6 ogni 100 km di rete fognaria (con un picco di 10 ogni 100 km nel Sud e Isole).
L’analisi del fabbisogno di investimenti (al lordo dei contributi) condotta sul biennio 2022-2023, periodo di aggiornamento delle pianificazioni, conferma, a livello nazionale, la concentrazione degli sforzi dei gestori al contenimento del livello di perdite idriche che assorbono il 27% del totale delle risorse programmate (da quota 22% rispetto all’analisi dello scorso anno). A seguire, gli investimenti per il miglioramento della qualità dell’acqua depurata al 16,1% (erano a 18,1%), quelli per la riduzione delle interruzioni idriche 15,3% (13,5%) e gli interventi per l’adeguamento del sistema fognario al 13,5% (13,9%).
La quota di investimenti in infrastrutture del servizio idrico integrato non riconducibili direttamente a specifici obiettivi di qualità tecnica fissati dall’Autorità si ferma al 10,5%. In termini generali di servizio, il quadro nazionale del biennio è maggiormente orientato sugli investimenti pianificati nelle infrastrutture acquedottistiche (45,6%) rispetto a quelli previsti nelle reti fognarie e negli impianti di depurazione (nel complesso il 40,66%), pur permanendo differenze tra singole aree geografiche: nel Nord-Ovest è stato espresso un maggiore fabbisogno nelle fasi di fognatura e depurazione, mentre nel Centro Italia la forbice tra le due fasi aumenta a favore delle infrastrutture di acquedotto.
“Come abbiamo drammaticamente avuto modo di verificare anche nel corso di questi anni – ha commentato il presidente di Arera, Stefano Besseghini- , non avremo solo un problema di scarsità della risorsa acqua, ma un cambio strutturale del meccanismo delle precipitazioni con una estremizzazione dei fenomeni. Avere acqua non vuol dire avere ingenti risorse idriche, ma vuol dire avere acqua nella quantità e qualità che serve, nel momento in cui serve”.
“Gli sforzi compiuti nel settore acquedottistico”, afferma Besseghini, “contribuiscono a contenere il fabbisogno complessivo della risorsa e suggeriscono lo sviluppo di analoghi approcci negli altri settori di impiego. Riteniamo, infatti, che i settori di impiego diversi dal civile potrebbero trarre benefici dell’applicazione di regole tese ad incentivare i miglioramenti delle performance, con l’individuazione di specifici target di contenimento degli sprechi in relazione all’uso della risorsa idrica, e la conseguente identificazione degli interventi necessari”. Permangono, evidenzia il presidente di Arera, “elementi di crescita del ruolo degli operatori del servizio idrico, che potrebbero essere utilmente esplorati. Tra questi, certamente, la gestione delle acque meteoriche e il riuso dell’acqua depurata”.
“Il repentino evolversi dello scenario climatico suggerisce di assegnare un’elevata priorità al processo di integrazione infrastrutturale. Il riuso potrebbe determinare un interessante punto di contatto tra il ciclo idrico integrato ed il settore di maggiore impiego dell’acqua, vale a dire il settore agricolo”, sottolinea Besseghini per il quale in ogni caso le crisi idriche “richiedono una filiera istituzionale e gestionale che si dimostri efficace nella realizzazione ed efficiente nella gestione e nella manutenzione delle infrastrutture”. Anche a questo scopo, è il suggerimento del presidente Arera, si potrebbe fare in modo che “il Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza del settore idrico divenga il punto di riferimento unico e coordinato di tutti gli interventi del settore, anche quelli emergenziali”.