Picchiati mentre sperano di lasciare l’Afghanistan. A Kabul sempre più persone verrebbero picchiate lungo il tragitto verso l’aeroporto. Lo riferiscono fonti della Difesa citate dalla Bbc che parlano proprio di un “aumento” dei casi di persone malmenate mentre cercano di raggiungere lo scalo.
“All’aeroporto ci siamo sentiti come gettati di fronte ai lupi e ognuno faceva del suo meglio per sopravvivere. Ma siamo esseri umani, nessuno dovrebbe combattere contro gli altri e calpestare donne e bambini. Vogliamo un’evacuazione dignitosa! So che più a lungo resteremo a Kabul, più sarà pericolosa la situazione che dovremo affrontare, ma, vedendo la mia famiglia traumatizzata e rischiando di perdere i miei figli nel caos, dopo più di 20 ore di attesa non abbiamo potuto fare altro che tornare a casa”. E’ il messaggio di Ahmed (nome di fantasia) al Cisda, Coordinamento italiano sostegno donne afgane onlus.
Nonostante avessero diritto ad accedere a uno dei voli Ahmed, la moglie e i due bambini non ci sono riusciti a causa della calca e delle violenze dei talebani e ora temono ritorsioni. “La vita è ingiusta. Forse abbiamo i giorni contati e non so quando busseranno alla nostra porta”, spiega l’uomo che come migliaia di persone si è accalcato all’aeroporto di Kabul. “Le ore che abbiamo trascorso lì erano un incubo. Ci sono stati momenti in cui eravamo senza fiato, mentre le persone spingevano e tiravano. Molti avevano aspettato per giorni fuori dall’aeroporto. Abbiamo cercato continuamente di avvicinarci al cancello, ma persino spostarci di un centimetro era difficile. Tutti stavano cercando di fuggire dal paese”.
Le violenze non risparmiano nessuno. “Come padre, è stato il momento più difficile, perché stavo facendo del mio meglio per portarli al sicuro verso un futuro migliore, ma assistevo alla loro paura mentre venivamo picchiati senza pietà. I miei figli non avevano mai visto i talebani, ma ora hanno sperimentato la loro brutalità. Mi sentivo impotente, perché non potevo proteggerli mentre venivano picchiati. Ho dovuto supplicare i talebani di risparmiare almeno i bambini. I proiettili sono stati sparati indiscriminatamente e chiunque avrebbe potuto essere colpito. Non riuscivo a trattenere le lacrime, perché non avevo mai immaginato che i miei figli e la mia famiglia avrebbero vissuto l’umiliazione che avevo vissuto io 25 anni fa”, racconta.
“Mia moglie, laureata in legge e attivista, è stata picchiata sulla testa e si è sentita umiliata anche nell’animo. Mi ha detto che non aveva la forza di alzarsi in piedi dopo aver visto il nostro bambino impallidire e sul punto di svenire per la paura. Mia figlia e mio figlio mi stringevano forte le mani. Piangevano, mi dicevano che saremmo stati uccisi e mi chiedevano di tornare a casa. Il mio bambino non riusciva a respirare per la paura e ho pensato che lo stavo perdendo. Mia figlia non urlava più. Le uscivano solo lacrime che le rigavano le guance”, spiega Ahmed.
“Ho provato in tutti i modi a contattare qualcuno per chiedere aiuto, ma non è stato possibile. La mia famiglia ha attraversato l’inferno; inferno non è nemmeno la parola giusta. Volevo portarli lontano dal pericolo, invece li ho messi in pericolo e ora sono traumatizzati”, dice.
“Da quando abbiamo lasciato l’aeroporto, la mia famiglia è così spaventata. I miei bambini temono che i talebani bussino alla porta, ci portino via e ci uccidano. Sto cercando di consolarli, ma le nostre vite sono a rischio e non so quali saranno le conseguenze, dopo che i talebani hanno visto che abbiamo tentato di imbarcarci e poi siamo tornati a casa. Non volevo che i miei figli subissero quello che ho passato io 25 anni fa, nel brutale periodo dei talebani al potere. Le scene di oggi all’aeroporto mi hanno riportato alla mente quei ricordi”, conclude.