Attacco kamikaze oggi a Kabul, in Afghanistan. Ancora nessuna rivendicazione, ma l’Isis aveva lanciato ufficialmente la sua minaccia di gravi attacchi nel Paese la scorsa settimana. In un messaggio rilanciato dai media dell’organizzazione terroristica, ricorda Rita Katz del Site Intel Group, si leggeva che “i soldati del Califfato si stanno preparando per una nuova fase della loro jihad benedetta, che non si fermerà”. Nello stesso messaggio, l’Isis definiva la conquista dell’Afghanistan da parte dei talebani come “nient’altro che la sostituzione di un tiranno rasato con uno con la barba”.
I primi sospetti dell’attentato sono i membri dello Stato islamico della provincia di Khorasan, gruppo terroristico noto come Isis-K o Iskp. Già da alcuni giorni vi erano allarmi dei servizi occidentali che attribuivano a questo gruppo l’intenzione di colpire le operazioni del ponte aereo a Kabul con un attentato suicida. Secondo Charlie Winter, ricercatore al Centre for the Study of Radicalisation dell’università di Londra, l’aeroporto e le folle in partenza rappresentano “una perfetta riunione di diversi obiettivi” del gruppo: i militari americani, gli afghani filo occidentali e i talebani, che l’Isis-k considera apostati”.
Il gruppo, ricorda oggi il Guardian, è stato fondato sei anni fa nella provincia sud occidentale pachistana del Balochistan, durante un incontro fra due emissari dell’Isis e un gruppo di talebani delusi dai loro comandanti. Allora lo Stato Islamico era nel pieno del suo successo e controllava ampie parti dell’Iraq e la Siria. Il nome di provincia di Khorasan si riferisce a imperi musulmani medioevali in un’area fra parti dell’Iran, l’Afghanistan e l’Asia centrale.
L’Isis ritiene che i talebani abbiano abbandonato la fede musulmana, dato che hanno accettato di trattare con gli americani. Li considera troppo pragmatici e non abbastanza rigorosi nell’applicare la legge islamica. In Afghanistan sia i talebani che al Qaeda si sono opposti all’espansione dell’Isis-K, così come naturalmente hanno fatto il deposto governo di Kabul e le forze occidentali. Per questi il gruppo era in difficoltà nel 2019 e la prima parte del 2020: controllava poco territorio e aveva subito perdite di leader e militanti.
Un rapporto preparato per l’Onu, sottolineava che il gruppo era a quel momento talmente in difficoltà da offrire un’amnistia chi aveva disertato. Si stimava che avesse fra i 1200e i 1500 combattenti in piccole aree delle province di Kunar e Nangarhar, e avesse deciso di decentralizzare l’attività con piccole cellule in varie parti del paese.
Ma dal giugno 2020, il gruppo si è dotato di un nuovo leader, che sarebbe un arabo a differenza dei suoi predecessori pachistani. E nei primi quattro mesi del 2021, la missione Onu in Afghanistan ha contato 77 attentati rivendicati o attribuiti all’Isis-K, perpetrati contro la minoranza sciita, giornalisti, stranieri, militari e infrastrutture civili. Non è chiaro se ciò significhi un rafforzamento del gruppo o una diversa strategia. All’inizio dell’anno, specialisti d’intelligence avevano segnalato all’Onu che il gruppo stava cercando di reclutare talebani scontenti. Molti combattenti dell’Isis-K non sono afghani, vengono dal Pakistan, il Tagikistan e l’Uzbekistan. Il legame con la leadership dell’Isis in Iraq è rimasto, ma s’ignora quanto sia stretto, e se l’ordine per l’attentato di oggi sia venuto da fuori o il gruppo abbia agito in autonomia.
L’isis-k, ricorda il Guardian, rimane impegnato a colpire anche in occidente. I talebani potrebbero cercare di impedirlo, come hanno promesso di fare, ma non è detto che siano in grado di farlo. “Quanto territorio di Afghanistan è controllato dai talebani? C’è molto territorio di cui l’Isis può servirsi. Nell’immediato futuro potrebbero voler fare attentati per apparire nelle news”, commenta Aaron Zelin, del Washington institute for Near East Policy.