(Adnkronos) – Commissariata oggi, 17 gennaio, l’azienda Alviero Martini perché ritenuta “incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo”. Il brand di alta moda si affidava a laboratori cinesi ma non ha “mai effettuato ispezioni o audit sulla filiera produttiva per appurare le reali condizioni lavorative ovvero le capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato”. Per questo i carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro di Milano hanno dato esecuzione al decreto di amministrazione giudiziaria emesso dal tribunale di Milano – sezione Misure di prevenzione – su richiesta della procura.
In tale contesto, si legge nella nota dei militari, “si è potuto accertare che la casa di moda affidi, mediante contratto di appalto con divieto di sub-appalto senza preventiva autorizzazione, l’intera produzione a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi”, in questo caso a opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere a loro volta i costi con l’impiego “di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento” facendo ricorso a manovalanza ‘in nero’, “non osservando le norme relative alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro nonché non rispettando i contratti collettivi nazionali lavoro di settore riguardo retribuzioni della manodopera, orari di lavoro, pause e ferie”.
In questo specifico caso, il Nucleo ispettorato del lavoro di Milano – a partire da settembre del 2023 – ha effettuato accertamenti sulle modalità di produzione, confezionamento e commercializzazione dei capi di alta moda procedendo al controllo dei soggetti affidatari degli appalti nonché dei sub affidatari non autorizzati costituiti da opifici gestiti da cittadini cinesi nelle province di Milano, Monza e Brianza e Pavia. Negli otto opifici controllati, tutti risultati irregolari, “sono stati identificati 197 lavoratori di cui 37 occupati in nero e clandestini sul territorio nazionale”.
Negli stabilimenti di produzione non autorizzata è stato riscontrato che la lavorazione avveniva in condizione di sfruttamento (pagamento sotto soglia, orario di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri), in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (omessa sorveglianza sanitaria, omessa formazione e informazione) nonché ospitando la manodopera in dormitori realizzati abusivamente ed in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico. Sono stati denunciati per caporalato dieci titolari di aziende di diritto o di fatto di origine cinese nonché 37 persone non in regola con la permanenza e il soggiorno sul territorio nazionale. Infine sono state comminate ammende pari a oltre 153.000 euro e sanzioni amministrative pari a 150.000 euro e per sei aziende è stata disposta la sospensione dell’attività per gravi violazioni in materia di sicurezza e per utilizzo di lavoro nero.
Da 20 a 350 euro è questa la ‘linea’ che viene ricostruita dai carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro di Milano e che riguarda il brand di alta moda Alviero Martini commissariato dal tribunale di Milano. La merce venduta dai canali ufficiali del marchio di alta moda esce a 20 euro da un opificio cinese che in laboratori-dormitorio sfrutta sotto costo la manodopera di connazionali senza regolare permesso di soggiorno, quindi viene prezzata a 30 euro dall’altro subappaltatore interposto con la società appaltatrice ufficiale; la quale fattura a sua volta la borsa a 50 euro al brand di alta moda, che la mette in vetrina in negozio a 350 euro.
La società di alta moda non è indagata, ma per il tribunale di Milano Tribunale, le criticità emerse nei confronti dei lavoratori impongono che un’impresa “rappresentativa del ‘Made in Italy’ tanto apprezzato all’estero, ed avente rilevanti dimensioni”, possa “adeguare i presidi di controllo interno” in modo da evitare “che la filiera produttiva si articoli attraverso appalti e sub appalti con realtà imprenditoriali che adottino le illecite condizioni di sfruttamento dei lavoratori” e rafforzi i presidi “relativi alle verifiche reputazionali dei fornitori dell’azienda”. Le ispezioni negli opifici cinesi di Castano Primo, Pieve Emanuele, Grezzago, Villanova d’Ardenghi (Pavia) e Caponago (Monza Brianza) restituiscono, si legge nel provvedimento del tribunale, “indici di sfruttamento dei lavoratori. Diversi in condizione di clandestinità, si trovavano in situazioni abitative degradanti, ricavate all’interno degli stessi luoghi di lavoro, con ambienti abusivi ed insalubri, pericolosi per al loro salute e sicurezza”.
Nei laboratori erano realizzati veri dormitori, con impianti elettrici di fortuna e “concretamente idonei ad innescare incendi da sovraccarico e corto circuito”, sui macchinari non erano presenti i dispositivi di sicurezza, gli agenti chimici utilizzati per la produzione non erano conservati in modo da garantire la sicurezza da contaminazioni. I lavoratori “non erano sottoposti a visite mediche di idoneità al lavoro, né a corsi di formazione, anche per prendere cognizione dei rischi connessi allo svolgimento dell’attività lavorativa”. In uno dei laboratori era presente un impianto di videosorveglianza non autorizzato, il lavoro era svolto anche in orario notturno e nei giorni festivi, con una retribuzione sotto soglia rispetto ai minimi tabellari retributivi previsti dal contratto collettivo e negli opifici in questione sono stati rilevati anche il mancato pagamento dei contributi e l’omissione dei costi relativi alla sicurezza sul lavoro.