Annegamento bambini, 40 morti ogni anno in Italia: come evitarlo

(Adnkronos) –
Ogni anno in Italia si contano circa 400 morti per annegamento, di cui circa 40 (il 10%) sono minori. Negli ultimi 10 anni, nei pronto soccorso dell’ospedale Bambino Gesù di Roma sono arrivati circa 80 bambini e ragazzi vittime di incidenti di balneazione. Lo ricorda l’Irccs pediatrico capitolino, in vista della Giornata mondiale della prevenzione dell’annegamento istituita dalle Nazioni Unite e in calendario giovedì 25 luglio. Nell’occasione, gli esperti rilanciano le raccomandazioni per evitare il ripetersi di queste tragedie: “Sorveglianza, prevenzione e rispetto delle regole sono i 3 fattori più importanti per evitare pericolosi incidenti”, afferma Sebastian Cristaldi, responsabile Dea II livello del Bambino Gesù. 

Secondo i dati sulle cause di mortalità pubblicati dall’Istat – riporta ancora l’ospedale – in un decennio in Italia sono morte 3.760 persone per annegamento. Di queste, 429 erano bambini e ragazzi (43 circa ogni anno). Nel Lazio la media di decessi per annegamento è stata di 16 l’anno. In tutto il Centro Italia sono morti 55 minori tra il 2012 e il 2021. Secondo il rapporto pubblicato dall’Osservatorio per lo sviluppo di una strategia nazionale di prevenzione degli annegamenti e incidenti in acque di balneazione dell’Istituto superiore di sanità, ogni anno nel nostro Paese si registrano 800 ospedalizzazioni per annegamento, circa 60mila salvataggi (solo sulle spiagge) e più di 600mila interventi di prevenzione da parte dei bagnini. Nei pronto soccorso delle sedi del Gianicolo e di Palidoro del Bambino Gesù, negli ultimi 10 anni (2014-2023) ci sono stati 76 accessi per annegamento non fatale, precisa l’Irccs. Di questi, 69 hanno poi richiesto un ricovero urgente. Quasi la metà degli accessi (36 su 76) sono avvenuti negli ultimi 3 anni. 

“La prevenzione rappresenta la prima regola a cui attenersi per ridurre drasticamente il rischio di annegamento di bambini e ragazzi – spiegano dall’ospedale – evitando così possibili tragiche conseguenze. Bisogna quindi fare in modo di eliminare gli accessi in acqua non controllati attraverso il corretto utilizzo di barriere fisiche. Vanno tenute chiuse le porte e i cancelli che portano direttamente al mare o in piscina. Laddove non siano presenti, vanno installate le barriere che impediscano l’accesso ai bambini non accompagnati. Bisogna sempre coprire la piscina con l’apposito telo nei periodi dell’anno in cui non viene utilizzata. Controllare la temperatura dell’acqua è un altro aspetto della di prevenzione: l’acqua del mare e della piscina non deve essere troppo fredda, poiché può causare episodi di vasocostrizione e aumentare il rischio di malori o mancamenti. Importante poi è l’uso di braccioli e ciambelle che aiutino i bambini a restare a galla. Ancora più importante è far prendere familiarità con l’acqua ai bambini fin dai 6 mesi di vita, di modo che possano iniziare corsi di nuoto già a partire dai 2-3 anni”. 

“La forma di prevenzione più efficace quando si parla di bambini resta comunque la sorveglianza – evidenzia Cristaldi – Sorveglianza però non vuol dire solo non perdere mai d’occhio i bambini quando sono vicini o dentro l’acqua: vuol dire anche stargli vicini – precisa – in modo da poter intervenire tempestivamente in caso di imprevisti. Basta un minuto di distrazione, come una breve telefonata al cellulare, per perdere di vista il bambino che, immergendosi, non riesce a chiedere aiuto”. Inoltre, “nei primi 3 anni di vita – avvertono gli esperti del Bambino Gesù – un bambino può trovarsi in difficoltà anche in pochi centimetri d’acqua, come quelli di una vasca da bagno o di una piccola piscina gonfiabile. Almeno fino a 5-6 anni di vita, al mare o in piscina, deve esserci sempre la presenza del genitore in acqua. Anche i bambini più grandi non debbono comunque essere persi di vista, perché possono essere trascinati sott’acqua da un’onda o da una risacca”. 

Cruciale è poi il rispetto delle regole e gli adulti devono dare il buon esempio. “Non si può fare il bagno ovunque ci sia l’acqua: fiume, lago, mare – ammonisce Cristaldi – Ci sono delle regole indicate da apposite segnaletiche che vietano la balneazione in determinati posti. Queste limitazioni sono state fatte per una questione di sicurezza. E vanno rispettate. Anche dagli adulti e soprattutto in presenza di bambini che imparano spesso per processi di imitazione. Se un adulto rispetta le regole, anche il bambino lo farà”. 

Attenzione infine alle false sicurezze: “Il fatto che un bambino viva in una casa o un condominio con piscina o cresca vicino al mare vuol dire che avrà una maggiore familiarità con l’elemento acquatico, ma non vuol dire che ne conosca bene i rischi. Il rispetto della segnaletica è fondamentale per ridurre i rischi di annegamento. Per questo sarebbe importante che la cartellonistica sia realizzata in modo da risultare immediatamente comprensibile anche i bambini più piccoli e anche da un punto di vista stilistico e cromatico”. 

Ma cosa fare in caso di annegamento, se nonostante accorgimenti e attenzioni si verifica un episodio? Primo, “è fondamentale intervenire con prontezza – rimarcano gli esperti del Bambino Gesù – lanciando in acqua qualsiasi oggetto galleggiante a cui il bambino possa aggrapparsi. Il soccorso in acqua va fatto da abili nuotatori, perché diversamente si metterebbe in pericolo anche la stessa vita del soccorritore”. 

Secondo suggerimento: “Una volta che si è riusciti a portare il bambino a riva, se le condizioni generali sono buone può essere messo in posizione seduta e invitato a tossire. Se invece ha segni di asfissia, bisogna chiedere aiuto a qualcuno in grado di liberargli prontamente le vie respiratorie da qualunque cosa possa ostruirle (vomito, sabbia o alghe), effettuando anche, se necessario, la respirazione bocca a bocca”. 

Terzo: “Se il bambino non si riprende, è privo di coscienza, non respira o non si riesce a sentirne il polso, bisogna immediatamente chiedere l’intervento di persone professionalmente qualificate e in grado di praticare le necessarie manovre di rianimazione cardiopolmonare”. 

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