(Adnkronos) –
Joe Biden non si ritira. Il presidente degli Stati Uniti, protagonista di un disastroso confronto tv con Donald Trump, non getta la spugna: “Posso fare questo lavoro, altrimenti non mi candiderei”. Il messaggio nel day after, in un comizio in North Carolina, non spegne il dibattito: i dubbi sull’81enne presidente aumentano e per molti nell’universo dem sono diventati certezze.
“C’è un senso di shock per il modo in cui è apparso all’inizio del dibattito, per il tono della sua voce, per come sembrava un po’ disorientato”è il lucido, ed inclemente, giudizio della performance di Joe Biden nel dibattito della scorsa notte con Donald Trump, data da David Axelrod, l’ex stratega di Barack Obama, uno dei democratici che da mesi avanza dubbi e preoccupazioni sull’età troppo avanzata per la rielezione del presidente.
“Ci saranno discussioni sul fatto se debba continuare, non so se porteranno a qualcosa, ma ci saranno”, aggiunge senza mezzi termini, intervistato dalla Cnn dando voce a quello che moltissimi democratici, in vera modalità di panico, stanno pensando dopo aver visto l’81enne più di una volta in evidente difficoltà durante il dibattito. Altri esprimono giudizi ancora più duri, trincerandosi dietro l’anominato: “È stato come vedere un campione di box salire sul ring ormai troppo vecchio e in un momento in cui dovrebbe gettare la spugna”, ha detto a Nbcnews un deputato democratico, esprimendo la convinzione che Biden dovrebbe ritirarsi. “E’ arrivato il momento di avere una convention aperta ed un nuovo candidato”, gli fa eco un altro dem.
Insomma, il dibattito della scorsa notte sembra aver infranto un tabù, quello del ritiro di Biden, anche se ufficialmente i vertici del partito continuano a dichiarare il sostegno alla corsa per la rielezione del presidente. A cominciare da uno dei nomi considerati più papabili per la discesa in campo dell’ultimo minuto, il governatore della California, Gavin Newsom, che ai giornalisti ha detto che il partito “non potrebbe essere più unito intorno a Biden”.
Ben diverso il sentimento che si registra a porte chiuse a casa dem, dove molti hanno vissuto come “un incubo” i 90 minuti di Biden che parlava con voce roca, troppo bassa, che a volte sembrava perdere il filo del discorso, tanto che a metà dibattito il suo staff ha cercato di correre ai ripari dicendo che il presidente era raffreddato.
Tanto che ora si pensa l’impensabile, il cambio del candidato alla convention, una cosa che nessun partito nazionale ha fatto in epoca moderna e che le regole stesse del partito rendono quanto mai ardua. Un eventuale cambiamento di candidato sarebbe praticamente impossibile senza il consenso di Biden, e ogni tentativo golpe contro di lui durante la convention – che si svolgerà dal 19 al 22 agosto a Chicago – potrebbe spaccare il partito, provocando l’alzata di scudi da parte dei delegati eletti durante le primarie, al 99% fedeli a Biden.
“Solo lui può decidere se intende continuare”, riconosce, riferendosi Biden, Axelrod, e un ruolo cruciale nel convincere il presidente, finora apparso assolutamente contrario all’idea di rinunciare ad un secondo mandato, potrebbe averlo la first lady Jill: “Potrebbe anche lei negare l’evidenza di quanto stiano male le cose – scrive il Daily Beast – ma non sembra una moglie che dà sempre ragione al marito, a differenza dell’ultima famiglia presidenziale – aggiunge riferendosi al Trump che potrebbero tornare dopo le elezioni alla Casa Bianca – i Biden sembrano avere un matrimonio costruito su rispetto e ammirazione reciproca”.
Appurato quindi che l’unico plausibile scenario potrebbe essere quello di un Biden che decida di fare un passo indietro, si aprirebbe quindi la questione del piano B, per la scelta di un candidato alternativo. Già nei mesi scorsi Politico, prospettava, in modo del tutto ipotetico, l’evoluzione di un piano del genere, ipotizzando appunto un passo indietro di Biden che, avendo concluso vittorioso le primarie il 4 giugno scorso, potrebbe conservare un ruolo di kingmaker, avendo il controllo dei delegati, nelle settimane precedenti alla convention, quando tra i dem si aprirebbe una situazione di “liberi tutti”.
Per quanto riguarda del possibile nuovo candidato, la questione più spinosa è il fatto che il nome più scontato è anche il più improbabile, quello della vice presidente Kamala Harris, confermata nel ticket anche se non ha certo brillato durante il primo mandato, con tassi di popolarità ancora più bassi di quelli di Biden, sotto il 40%. Gli altri nomi che circolano sono nomi di fedelissimi del presidente, come Newsom – che secondo alcuni lo scorso anno aveva tastato il terreno con una “campagna ombra” per la Casa Bianca ma ora è impegnato per la rielezione di Biden – e il collega governatore dell’Illinois J.B. Pritzker.
Un altro nome molto papabile sarebbe quello di Gretchen Whitmer, governatrice del Michigan, grande alleata di Biden, tanto da essere vice presidente della sua campagna, e nemica di Trump, che ha assunto una grande popolarità durante lo scontro con l’estrema destra dello stato durante la pandemia. Ci sono altri nomi che circolano, compreso quello, che potrebbe dare veramente una speranza ai democratici, di Michelle Obama, l’ancora popolarissima ex first lady che da anni continua però a negare categoricamente ogni sua intenzione di darsi alla politica.
Dopo l’enorme successo delle sue autobiografie, che ha presentato in giro per il mondo in un tour da rockstar, Michelle Obama ora è impegnata con il marito anche in una nuova carriera di produttori cinematografici e televisivi. Le voci di una sua possibile discesa in campo in extremis – che curiosamente vengono fatte circolare con insistenza da repubblicani, in particolare trumpiani, che a scadenza regolare rivelano un piano segreto dei dem per far arrivare Michelle alla Casa Bianca – sono state alimentate dal fatto che l’ex first lady in un’intervista all’inizio dell’anno si è detta “terrorizzata da quello che può succedere alle prossime elezioni”. I rumors, intanto, descrivono Michelle Obama distante dalla campagna di Biden: i rapporti tra l’ex first lady e la famiglia del presidente sarebbero freddi da anni, complice l’amicizia che lega Mrs Obama all’ex moglie di Hunter Biden, figlio di Joe.
A favore del presidente, intanto, si schiera Barack Obama con un post su X. “Le serate storte nei dibattiti capitano. Credetemi, lo so. Ma queste elezioni rappresentano ancora una scelta tra qualcuno che ha combattuto per la gente comune per tutta la vita e qualcuno che si preoccupa solo di se stesso. Tra qualcuno che dice la verità, sa distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato e sarà diretto con il popolo americano e qualcuno che mente apertamente a proprio vantaggio. La notte scorsa la situazione non è cambiata, ed è per questo che la posta in gioco è così alta a novembre”.
Ci sarebbe poi un altro, molto più caotico, scenario, quello in cui Biden non fa un passo indietro, viene nominato candidato alla convention ma poi per qualche motivo è incapacitato a partecipare alle elezioni. Che cosa succederebbe? Le regole della convention prevedono che in caso “di morte, dimissioni o incapacità” del candidato il presidente del partito deve “comunicarlo alla leadership democratica del Congresso, all’associazione dei governatori democratici ed ai membri del Comitato Nazionale democratico” che dovranno scegliere un nuovo candidato.
Potrebbero scegliere Harris – che intanto sarebbe stata confermata candidata alla vice presidente – e quindi dovrebbero poi designare un nuovo veep. Un’uscita di scena così ritardata di Biden sarebbe un incubo non solo politico ma anche logistico per gli Stati, alcuni dei quali iniziano ad inviare le schede per il voto dei militari all’estero qualche settimana dopo la convention, e poco dopo avviano anche il voto per posta o in anticipo per gli elettori americani. Il Minnesota e il South Dakota, per esempio, iniziano il voto in anticipo il 20 settembre.