(Adnkronos) –
Diventare mamma dopo un cancro al seno si può. E il sogno di stringere un figlio fra le braccia lo possono realizzare anche le donne che hanno avuto un carcinoma mammario ereditario correlato alla presenza di alterazioni nel gene Brca, ossia il 12% delle oltre 11mila italiane in età fertile che ogni anno si ammalano di tumore al seno. In queste giovani con ‘mutazione Jolie’ – la stessa che ha spinto l’attrice americana a sottoporsi a una mastectomia preventiva, perché predispone allo sviluppo di cancro al seno e all’ovaio – la gravidanza al termine delle cure oncologiche era finora sconsigliata, sia per il timore che comportasse un maggior rischio di ricaduta per la madre, sia per l’ipotesi che i trattamenti da lei subiti causassero pericoli per il bambino. Paure infondate, come dimostra adesso uno studio internazionale guidato dall’Italia.
Il lavoro, descritto come “il più ampio condotto per verificare gli esiti delle gravidanze in giovani donne con tumore al seno e mutazioni Brca”, è stato coordinato dall’Irccs ospedale policlinico San Martino di Genova e supportato da Fondazione Airc per la ricerca sul cancro. I risultati, relativi a oltre 4.700 pazienti di un’ottantina di centri in tutto il mondo, vengono pubblicati oggi su ‘Jama’ e presentati in contemporanea al San Antonio Breast Cancer Symposium, il più importante congresso mondiale sul carcinoma mammario, in corso in Texas, Usa. “A 10 anni dalla diagnosi – dimostra la ricerca – una paziente su 5 ha avuto una gravidanza senza che si siano registrate complicanze più frequenti durante l’attesa o maggiori pericoli per i nascituri, né un incremento della probabilità di ricomparsa del tumore”.
“Questi dati dimostrano che, dopo un trattamento appropriato e un periodo di osservazione sufficiente, la gravidanza non dovrebbe essere più sconsigliata a donne giovani con un tumore al seno e mutazione Brca, perché è possibile e sicura”, afferma Matteo Lambertini, professore associato e oncologo medico presso la Clinica di Oncologia medica dell’università di Genova – Irccs ospedale policlinico San Martino, coordinatore dello studio insieme a Eva Blondeaux, oncologo medico presso l’Unità di Epidemiologia clinica del San Martino. “Poter coltivare la speranza di costruire una famiglia in futuro, dopo il tumore – sottolinea – è di grande aiuto per le pazienti perché consente loro di accettare meglio la malattia e le terapie: la consapevolezza di un domani possibile ha un ruolo significativo nel processo di guarigione”. Risultati ancora più importanti considerando che “il numero di giovani donne colpite da tumore della mammella prima di aver avuto un figlio è in aumento – evidenziano gli esperti – complice anche la tendenza a ricercare la prima gravidanza in età sempre più avanzata. Inoltre, le cure oncologiche possono portare a una riduzione della fertilità e della capacità di concepire”.
Lo studio – dettaglia una nota – è un’indagine internazionale retrospettiva a cui hanno partecipato 78 centri a livello globale, inclusi poli oncologici e università molto importanti. Sono stati raccolti i dati di 4.732 donne che hanno ricevuto entro i 40 anni una diagnosi di carcinoma mammario con mutazione Brca. Dopo il completamento delle cure ed entro 10 anni dalla diagnosi di tumore, oltre una su 5 (22%) ha avuto una gravidanza, con un tempo medio dalla diagnosi al concepimento di 3 anni e mezzo. Delle 517 donne che l’hanno portata a termine, pari al 79,7% del totale, il 91% ha avuto un parto a termine e il 10% ha avuto gemelli. Non si sono osservati tassi più elevati, rispetto all’atteso nella popolazione generale, di complicazioni in gravidanza o di rischio di malformazioni fetali, né differenze significative nella sopravvivenza libera da malattia tra le pazienti che hanno avuto oppure no una gravidanza al termine delle cure oncologiche. “Avere un figlio – rimarcano gli autori – non aumenta perciò la probabilità di successive recidive del tumore”.
“In passato la gravidanza veniva sconsigliata a queste donne per la preoccupazione da un lato che gli ‘ormoni della gravidanza’ potessero favorire la ricomparsa del carcinoma mammario, essendo un tumore sensibile agli ormoni – precisa Lambertini – dall’altro che una pregressa esposizione a trattamenti oncologici, tra cui la chemioterapia, potesse avere conseguenze negative sulla prole. Inoltre, per scongiurare lo sviluppo di cancro ovarico queste pazienti sono candidate a ricevere un intervento preventivo di rimozione delle ovaie e delle tube in età molto giovane, intorno ai 40 anni, e ciò riduce ulteriormente la loro finestra riproduttiva. A questo si aggiunge la paura di trasmettere la mutazione ai propri figli, che influenza il desiderio di maternità in molte di queste donne. Tutti questi elementi ‘rubano il futuro’ alle pazienti giovani con tumore al seno ereditario, ma i nuovi dati segnano un deciso cambio di passo”.
“La gravidanza – raccomanda il coordinatore del maxi studio – non dovrebbe più essere sconsigliata in donne portatrici della ‘mutazione Jolie’ che desiderano avere un figlio dopo aver eseguito un adeguato trattamento per il cancro al seno e dopo che sia trascorso un appropriato periodo di osservazione dalla fine della terapia. Anzi, i dati mostrano che la sopravvivenza globale può anche migliorare in alcuni casi, nelle donne che realizzano il loro desiderio di famiglia”.