La prima cosa che serve fare per migliorare la condizione delle carceri italiane è “togliere la disumanità”. Lo dice la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, al Festival dell’Umano, a Milano. “Partiamo da cosa è disumano. E il lavoro da fare è enorme. Partiamo da lì”, dice il ministro, che fa anche riferimento a un episodio recente, avvenuto al carcere di Rebibbia: “Quando una donna partorisce in carcere con la sua compagna di cella non è una cosa umana, anche se lì non è colpa del carcere ma di qualcun altro”.
In più, argomenta, “il carcere serve a dare una seconda possibilità, è rieducazione, che non dimentica il passato, ma che guarda come una finestra su un oltre. Chi opera nelle carceri sa come tante volte piccoli gesti, come consentire un colloquio o proporre un’attività, possono fare scattare quella scintilla. Per alcuni è stato il teatro. Ho visto cose terribili e sublimi, abissi di disperazione e vertici di umanità convivere insieme”. Per il ministro, “è stato uno spartiacque professionale e personale la visita al carcere di san vittore nel 2018. Per me vale sempre il grande insegnamento di Calamandrei, ‘bisogna aver visto’. Io avevo delle idee molto vaghe, ora ho uno scenario più ricco”.