(Adnkronos) –
Il grasso sotto i riflettori per gli effetti sui polmoni dei malati Covid. Quando Laura Graciotti, esperta del Laboratorio di patologia sperimentale dell’Università politecnica delle Marche, ha messo sotto il microscopio i polmoni di alcuni pazienti morti di Covid-19, è rimasta sorpresa da un particolare: “Si è accorta che erano pieni di grossi vacuoli lipidici”, dei ‘sacchettini’ di grasso. “Ed è venuta da noi”, racconta all’Adnkronos Salute Saverio Cinti, direttore scientifico del Centro obesità dell’ateneo di Ancona. Ha origine da questa sua osservazione lo studio che ha svelato la ‘relazione pericolosa’ fra grasso e Covid e acceso un faro su un meccanismo che potrebbe essere alla base delle complicanze polmonari che si scatenano in alcuni pazienti colpiti in modo grave dal virus.
Il lavoro si è guadagnato le pagine della rivista ‘International Journal of Obesity’, gruppo Nature, ed è frutto della collaborazione dell’università marchigiana con la Statale di Milano e l’ateneo Côte d’Azur di Nizza. Gli autori suggeriscono anche le possibili ragioni della maggiore predisposizione delle persone con obesità a sviluppare quadri clinici particolarmente gravi quando colpite dalla malattia provocata da Sars-CoV-2, e aprono anche una finestra sul fronte terapeutico e sul ruolo che potrebbero giocare alcuni antinfiammatori in particolare. “Ho ripensato – ripercorre Cinti – ai nostri studi che hanno messo in evidenza da tanti anni come il grasso obeso sia gravemente infiammato. E ho fatto 2 più 2: l’infezione porta a un’infiammazione degli organi e a maggior ragione sarà infiammato anche il grasso”. Un fenomeno legato a un altro: la morte degli adipociti.
“Queste cellule – spiega l’esperto – servono a contenere il grasso, ma quando raggiungono il limite massimo di espansione si innescano dei meccanismi molecolari che portano alla loro morte. E quando queste cellule, che sono molto grandi, muoiono, si creano dei residui che devono essere smaltiti dall’organismo, grazie ai macrofagi che vengono dal sangue e come degli spazzini ripuliscono gli organi. L’ipotesi che abbiamo pubblicato nel 2020 suggeriva che ci sono vacuoli lipidici derivati da queste cellule morte del grasso addominale che vanno in giro per via ematica e possono formare degli emboli polmonari”.
A supporto di questa ipotesi c’era anche un altro ‘indizio’, continua Cinti. “Nei vasi venosi del grasso addominale abbiamo visto delle strutture ricche di grasso, a significare che effettivamente del materiale di questo tipo va nei vasi sanguigni” e, attraverso la circolazione generale, può finire nei polmoni. “Ecco dunque l’ipotesi dell’embolia polmonare”, osserva. Gli scienziati si sono quindi messi a studiare i reperti autoptici di 19 pazienti morti per Covid e di altri 23 comparabili per età, indice di massa corporea, eccetera, ma deceduti per altre cause. “Abbiamo cominciato a studiare le biopsie del grasso viscerale, del fegato e del polmone – riferisce – e abbiamo visto che questo grasso aveva un’infiammazione pari al doppio di quella attesa comparandola con il gruppo di controllo”.
“Abbiamo visto anche – continua l’esperto – che c’era una grande abbondanza di vacuoli lipidici liberi nell’interstizio di questo tessuto, li abbiamo trovati anche nelle cellule endoteliali, fino all’interno del lume dei vasi sanguigni. Tutto ciò fa pensare che questo grasso derivato dalle cellule morte invade i vasi sanguigni. E l’abbiamo anche quantificato: circa il 10% dei vasi sanguigni di tutti i pazienti Covid studiati era occupato da questi aspetti embolici. Per essere sicuri che fosse proprio materiale embolico abbiamo studiato anche il fegato, visto che il sangue refluo dal grasso addominale passa attraverso quest’organo. Risultato: anche i vasi sanguigni del fegato erano occupati dal materiale grasso in questione, che può anche essere responsabile della steatosi epatica di cui soffrono i pazienti Covid”.
Oltrepassato il filtro del fegato, prosegue Cinti, “il sangue va a finire nei polmoni e nel 100% dei pazienti Covid abbiamo trovato in effetti materiale grasso nei vasi sanguigni, sugli alveoli polmonari e nell’interstizio. Ma c’è stata anche un’altra sorpresa: abbiamo usato una colorazione specifica istochimica per identificare i vacuoli lipidici e abbiamo visto colorarsi di rosso, a dimostrazione della loro origine lipidica, anche delle strutture membranose (membrane ialine) nel polmone. Strutture che si dispongono sulla superficie degli alveoli e fanno da barriera con il sangue impedendone l’ossigenazione. Non a caso una delle problematiche serie in alcuni soggetti è proprio il distress polmonare, l’incapacità di avere un normale scambio respiratorio”.
Il sospetto, spiega ancora Cinti, “è stato dunque che succedesse qualcosa come se l’embolo grassoso si spalmasse progressivamente sull’alveolo formando queste membrane. Inoltre, questi aspetti embolici grassosi non sono esclusivi dei pazienti con Covid: erano presenti anche in pazienti obesi, con frequenza molto minore rispetto ai casi Covid. Andando a rivedere la letteratura, mi sono accorto che effettivamente le embolie grassose erano state descritte negli obesi fin dal 1879. Nei pazienti Covid queste sono molto più gravi perché il polmone è infiammato”.
“Queste – puntualizza l’esperto – sono tutte deduzioni, che derivano da uno studio osservazionale”. Ma le prospettive di tutto ciò sono che, “se questa è la fisiopatologia della malattia, allora bisogna aggredire il più presto possibile l’infiammazione del grasso viscerale e usare subito, senza aspettare, degli antinfiammatori lipofili, come l’indometacina per fare un esempio, che vadano ad agire lì dove c’è il grasso. Ma nessuno deve fare da sé – ammonisce Cinti – Bisogna sempre rivolgersi al medico curante”.
La ricerca intanto continuerà. “Avendo pubblicato su una rivista internazionale, ci aspettiamo e speriamo che anche altri gruppi approfondiscano questi aspetti – conclude l’esperto dell’ateneo marchigiano – Probabilmente il meccanismo da noi osservato è generalizzato, anche perché non tutti i pazienti Covid che abbiamo studiato erano obesi. E c’è un’altra cosa molto importante a supporto della nostra tesi: noi abbiamo preso una linea cellulare di adipociti umani, abbiamo infettato queste cellule con l’aiuto dei nostri microbiologi e virologi, e abbiamo visto che la cellula adiposa, a contatto col virus, tende a buttar fuori vacuoli lipidici. Tutto, quindi, coincide”.