D’Amico (S.Raffaele): “Con i farmaci biosimilari trattiamo molti più pazienti”

“Grazie ai farmaci biosimilari siamo in grado di trattare il maggior numero di pazienti con malattie croniche e infiammatorie, la cui percentuale negli ultimi 20 anni è aumentata notevolmente. Sono sicuri ed efficaci, come i farmaci originatori, e rappresentano una risorsa di cura per le patologie croniche. Tuttavia, sono ancora poco conosciuti. Per questo motivo, la cosa importante che dovrebbe fare un medico è parlare con il paziente e informarlo su questa opportunità terapeutica”. Così Ferdinando D’Amico, gastroenterologo del Centro per le malattie infiammatorie croniche intestinali, Ibd Unit del San Raffaele di Milano, durante il suo intervento al webinar “Biosimilare, un’opportunità per ampliare l’accesso alle cure”, evento promosso da Sandoz e trasmesso in diretta streaming sui canali web di Adnkronos. All’incontro moderato da Federico Luperi, direttore Innovazione e New Media e responsabile Digital di Adnkronos, sono intervenuti Antonella Celano, presidente Apmarr, Associazione nazionale persone con malattie reumatologiche e rare; Claudio Jommi, professor of Practice di Health Policy presso la Sda Bocconi, e Paolo Fedeli, Country Medical Director Sandoz.  

Durante il dibattito sono stati snocciolati alcuni dati del sondaggio “I farmaci biologici e biosimilari” di Emg Different realizzato tra il 12 e il 16 novembre 2021 su un campione di 800 interviste, rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne. L’88% degli intervistati – secondo l’indagine – non ha mai sentito parlare dei biosimilari, solo il 6% li conosce spontaneamente. E ancora: per il 92% il biosimilare è meno costoso del farmaco di riferimento, mentre per l’83% ha le stesse caratteristiche ed efficacia del biologico di riferimento. Solo il 60% è a conoscenza che il biosimilare è un farmaco non uguale, ma simile al biologico di riferimento. Sul fronte della prescrizione del biosimilare da parte dello specialista, dal sondaggio emerge che il 37% conferma la necessità di maggiori informazioni per capire come utilizzarlo.  

“Io mi occupo di malattie infiammatorie croniche intestinali – afferma D’Amico – dunque di pazienti con morbo di Crohn e colite ulcerose. L’introduzione dei farmaci biologici ha letteralmente rivoluzionato la gestione di questi pazienti. Basti pensare che fino alla loro introduzione, nei primi anni Duemila, la maggior parte di loro andava incontro ad interventi chirurgici. Non solo, noi medici avevamo a disposizione pochi farmaci, come i cortisonici e la mesalazina, un antinfiammatorio non steroideo”. Con l’arrivo dei biologici “finalmente avevamo delle opzioni terapeutiche in più – ancora D’Amico – armi grazie alle quali si sono notevolmente ridotti il numero delle ospedalizzazioni e il numero dei pazienti sottoposti a interventi chirurgici. Unico problema, questi farmaci erano molto costosi. Di conseguenza erano accessibili da parte di un piccolo numero di pazienti e solo pochi ospedali di terzo livello, ovvero grandi ospedali, avevano la possibilità di accedere a questa tipologia di risorse”.  

A partire dal 2013-2015 “abbiamo ottenuto l’approvazione del primo biosimilare per il trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali – ricorda il gastroenterologo -. Una volta scaduto il brevetto dei farmaci originatori, diverse aziende hanno potuto produrre le stesse molecole consentendo una riduzione dei costi. Questo ha consentito agli ospedali di acquistare i nuovi farmaci che permettono di trattare una vasta platea di pazienti. Ma è banale parlare dei biosimilari solo in termini di costi anche se dobbiamo, purtroppo, fare i conti anche con tutto quello che riguarda le spese sanitarie”.  

La cosa importante, secondo l’esperto, “è che i questi farmaci rientrano nella abituale pratica clinica – tiene a precisare D’Amico – . In gastroenterologia il primo biosimilare è subentrato nel 2013. Da allora abbiamo raccolto tanti dati riguardo l’efficacia e la sicurezza di queste molecole e la maggior parte dei pazienti che oggi iniziano una terapia biologica, iniziano un biosimilare, il farmaco originatore viene utilizzato di rado. La cosa importante è discuterne con il paziente, perché in merito al passaggio dal farmaco originatore al biosimilare – il cosiddetto switching – è necessaria un’adeguata comunicazione medico-paziente al fine di chiarire che la continuità terapeutica è garantita e che qualsiasi decisione non viene subordinata al mero discorso economico, ma vige un discorso pratico di efficacia e sicurezza e di possibilità di poter trattare un maggior numero di pazienti. Questo anche in virtù del fatto che negli ultimi 20 anni è aumentata notevolmente la percentuale dei pazienti con malattie infiammatorie e croniche che necessitano di questi trattamenti e di conseguenza è aumentata la necessità di avere a disposizione questi farmaci”.  

E infine: “Quando parliamo di biosimilari parliamo di farmaci nuovissimi costruiti con tecnologie innovative – aggiunge D’Amico – altamente simili a quelli biologici già approvati ma di cui è scaduto il brevetto, per cui tutte le altre aziende possono produrre la stessa tipologia di farmaco. Molti pazienti credono che i biosimilari siano dei generici dei farmaci approvati. Ma sbagliano. I biosimilari vengono prodotti a partire da cellule biologiche, viventi. Questo vuol dire che non esiste un biosimilare uguale all’altro, per definizione non può essere un farmaco generico, cioè un equivalente. È un farmaco differente che, però, ha la stessa efficacia e la stessa sicurezza del farmaco originatore. Ma non si tratta di farmaci generici. Insisto, è necessaria una corretta informazione, oltre che soffermarsi sui dati di efficacia e sicurezza piuttosto che sui costi” conclude D’Amico.  

(Adnkronos)