Depistaggio Borsellino, l’accusa delle parti civili: “Dietro le stragi 007 deviati”

(Adnkronos) – (dall’inviata Elvira Terranova) – ‘Vincenzo Scarantino è stato un ripetitore di bocche malsane, di mistificatori della realtà. Non c’era bisogno di superpoliziotti per capire, a pelle, che Scarantino era un fantoccio, peraltro fabbricato male. Dietro la strage di via D’Amelio c’erano i servizi segreti deviati. Adesso è arrivato il momento della verità. Gentili giudici, siete chiamati a riscrivere la storia per cancellare una delle pagine più vergognose della storia giudiziaria italiana”. Oggi tocca ai legali che, nel processo sul depistaggio sulla strage del 19 luglio 1992, rappresentano gli innocenti condannati all’ergastolo per le dichiarazioni, false, del finto pentito Vincenzo Scarantino. Alla sbarra ci sono tre poliziotti: Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Tutti accusati di calunnia, in concorso, aggravata dall’avere favorito Cosa nostra. Secondo l’accusa, i tre, che facevano parte del Gruppo ‘Falcone e Borsellino’ creato dopo le stragi, avrebbero indottrinato il falso pentito Scarantino a costruire false accuse per la strage di via D’Amelio. Nella scorsa udienza, il Procuratore capo di Caltanissetta, Salvatore De Luca, ha chiesto pene molto alte per i tre imputati. Undici anni e dieci mesi per l’ex funzionario di Polizia Mario Bo e nove anni e mezzo ciascuno per Mattei e Ribaudo. Tutti presenti oggi in aula.  

“Il nome di Falcone e Borsellino è stato infangato dal gruppo omonimo che era stato istituito per tutelare le vittime della strage e per accertare la verità e assicurare alla giustizia i veri colpevoli. Un gruppo ingordo”, dice l’avvocato Dacquì. “Vi chiedo di fare giustizia per le persone innocenti accusate falsamente”, ribadisce alla fine del suo intervento l’avvocata Rosalba Di Gregorio, che assiste Gaetano Murana, uno degli innocenti finiti all’ergastolo senza avere svolto alcun ruolo nella strage. Mentre l’avvocato Giuseppe Dacquì, che assiste un’altra vittima, Natale Gambino, rivolgendosi alla Corte guidata da Francesco D’Arrigo, dice: “Oggi potrei dire le stesse, identiche, cose che avevo detto venti anni fa, solo che vent’anni fa siamo stati calpestati, sbeffeggiati. Ma quelle prove sono rimaste intatte. Allora io dissi che Scarantino è stato uno specchio per le allodole, ha attirato l’attenzione su di se, allontanando chi voleva la verità. Io dissi allora che in via D’Amelio c’è stata la manina dei servizi segreti deviati, e oggi dico la manona, dei servizi segreti deviati”.  

“Poco importa chi è stato il regista, ma che ci sia un ragionevole dubbio che un soggetto occulto abbia diretto il ‘pupo’ Scarantino prima versione, questo mi sembra innegabile – dice – Dalle prima battute bisognava accorgersi che Scarantino è assolutamente inaffidabile, ma non sapevamo quali fossero i retroscena, potevamo immaginarlo, ma non potevamo spingerci più di tanto, perché non avevamo nessun elemento”. E definisce quanto accaduto dopo la strage di via D’Amelio “un maledetto imbroglio. e mi chiedo perché, per la carriera di Arnaldo La Barba che fu promosso questore? Per la carriera di Mario Bo?”. Mentre l’avvocato Fabio Repici, che rappresenta la famiglia di Salvatore Borsellino, definisce Scarantino “un impostore”. “Io non c’ero e non posso dire cosa avrei detto nei primi due processi, ma c’ero al processo Borsellino quater”. “L’impostura, più che il depistaggio, è nata da subito ed è nata in una piattaforma di spudorata illegalità, perché il 20 luglio del 1992 il procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra, personalmente incarica il dottor Bruno Contrada (ex dirigente del Sisde ndr) chiedendone l’aiuto alle indagini”, dice ancora Repici. “Non è una questione di galateo istituzionale – dice – era vietato dalla legge. E l’agenda di Contrada è una delle mappe con cui leggere il depistaggio”. Repici ha parlato anche della “contaminazione del potere ufficiale”. “L’auspicio è che gli organi dello Stato per una volta vogliano salire per la filiera delle responsabilità”.  

L’avvocata Rosalba Di Gregorio, ribadisce più volte che nei primi processi per la strage Borsellino, “abbiamo avvertito delle anomalie”, “avevamo la sensazione di difendere gente innocente”. “In questo processo – dice ancora – il nostro ruolo di difensori di parti civili è stato un po’ anomalo. Eravamo prima difensori degli imputati e poi difensori di parte civile. Come se avessimo usurpato un ruolo di parte civile. Noi siamo stati sempre difensori di parte offesa, sin dal processo in cui assistevamo gli imputati”. L’avvocata Di Gregorio, poi, ricorda che “si sapeva” che Vincenzo Scarantino “era psicolabile”, perché “c’era persona una perizia psichiatrica, ma non andava toccato e quindi non si poteva dire”. E spiega: “Fu congedato dal militare perché ritenuto dai medici neurolabile. A Scarantino venne diagnosticata una ‘Reattività nevrosiforme persistente in neurolabile’, però quando noi abbiamo chiesto una perizia ci fu negata. Sempre”.  

“Non c’era bisogno di aspettare Gaspare Spatuzza- dice ancora Rosalba Di Gregorio – abbiamo uno Scarantino che ha una tale mancanza di spessore, cosa che oggi lo dicono tutti, come persona, non come mafioso, che era assolutamente non presentabile, perché psicolabile e come tale certificato. Coloro che lo gestivano e lo hanno valorizzato come fonte, lo sapevano. Se non lo sapevano, lo hanno saputo durante l’esame quando in aula chiesi alla Corte di fare una perizia psichiatrica perché il soggetto all’evidenza non dava segnali di linearità e di ragionamenti coerenti”. “L’unica cosa che abbiamo guadagnato all’epoca fu un titolo di tg: ‘La mafia chiede la perizia psichiatrica’, la mafia ero io, evidentemente…. La corte rigettò la richiesta, perché Scarantino non andava toccato, perché si doveva arrivare fino alla fine. Non lo dicevo io, ma lo capì pure la dottoressa Boccassini all’epoca, come anche il dottor Sajeva che non fidandosi dei loro colleghi mandarono gli atti a Palermo”.  

“Noi sbattevamo contro un muro di atti omessi, non depositati, negati – denuncia ancora Di Gregorio – Qualunque nostra richiesta veniva rigettata, abbiamo subito attacchi continui sulla stampa, venivamo considerati vicina alla mafia. Solo perché chiedevamo delle spiegazioni sul falso collaboratore Vincenzo Scarantino, che non andava toccato”. E ricorda le telefonate “tra Scarantino e i magistrati di Caltanissetta”, quando il falso pentito era a San Bartolomeo al Mare, subito dopo la collaborazione. “L’omessa registrazione delle telefonate di Vincenzo Scarantino solo con magistrati e la polizia e non con i familiari, non può essere solo una coincidenza. No, non credo alle coincidenze…”, dice. Nel corso del processo un ex poliziotto, Giampiero Valenti, aveva rivelato di avere avuto l’ordine di bloccare le intercettazioni di Scarantino. “Mi ordinarono di interrompere la registrazione di Scarantino perché il collaboratore doveva parlare con i magistrati”, aveva detto.  

“Hanno tentato di farci passare per deficienti sulla ‘preparazione’ di Vincenzo Scarantino. Il falso pentito è stato istruito dai tre poliziotti per poi recitare un copione sul ‘palcoscenico’ dell’aula di giustizia”, denuncia ancora Di Gregorio. “Il pm Carmelo Petralia (il magistrato che all’epoca indagava sulla strage ndr) ha chiamato questa preparazione un ‘training psicologico’ – dice la legale -e ci ha raccontato che hanno partecipato Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo (due dei tre imputati ndr). Io mi permetto di dire che non credo alla preparazione psicologica. Perché in sintesi, per inciso, un rigo sì e un rigo no, andavano scritti in un verbale. Un incontro tra pm e pentito non è un atto di cortesia, è sacralizzato”. “Il poliziotto presente per verbalizzare deve verbalizzare – dice ancora Rosalba Di Gregorio – questa sarebbe la fisiologia della preparazione, siccome non è un training psicologico è una preparazione con domande e riposte, che viene portata a compimento dai tre imputati affinché questo uomo, che non aveva vissuto niente di ciò che raccontava, fosse istruito e mandato per far la bella recita sul palcoscenico del processo ‘Borsellino Uno’. 

“A Vincenzo Scarantino si affidò l’ingrato compito di accusare i suoi vicini di quartiere – dice sempre Di Gregorio- Un balordo, un delinquentello da due soldi si poteva trovare, sarebbe stato anche più facile”. “Ma occorreva Scarantino, perché era imparentato con parentela spendibile e perché portava alla Guadagna (quartiere periferico di Palermo ndr) – dice Di Gregorio – E questi uomini che oggi sono considerati parte offesa, erano soggetti che servivano per coprire i ruoli di interni ed esterni”. “Se anche Murana, che ha subito nel carcere di Pianosa delle mortificazioni fisiche e psichiche, si fosse pentito, anche se lui non aveva nulla da dire, se anche si fosse pentito, avrebbe dovuto essere istruito parola per parola, come accadeva con Scarantino”. E aggiunge: “Solo dei perfetti estranei potevano esser esposti in ruoli di copertura rispetto ai reali responsabili, solo con loro si poteva perché non avrebbero creato danni”. 

Poi, l’avvocata Di Gregorio parla anche dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, scomparsa subito dopo la strage di via D’Amelio. “Non l’ha presa Cosa nostra, non l’hanno presa gli uomini dei boss mafiosi. Anche perché Cosa nostra non sapeva cosa farsene di quell’agenda rossa, dunque l’hanno presa soggetti esterni alla mafia e che hanno avuto un ruolo nella strage di Via D’Amelio”, taglia corto la legale. “A qualcuno è toccato l’incarico, in origine, di far sparire l’agenda rossa del dottor Borsellino, subito, dall’auto in fiamme in via D’Amelio. E non è stata certo Cosa Nostra, bensì chi è stato avvertito di qualche “scoperta” che il Giudice Borsellino aveva fatto sulla strage Falcone e che, magari imprudentemente, avrà rivelato a persona sbagliata e/o connivente”, aggiunge la legale.  

I due condannati ingiustamente, Gaetano Murana e Giuseppe La Mattina, hanno ascoltato l’intera udienza, scuotendo la testa e ricordando i momenti degli arresti e delle condanne, all’ergastolo. “Due vite distrutte”, come ha detto l’avvocato Di Gregorio. Il processo proseguirà domani per l’intervento dell’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino, marito di Lucia Borsellino, figlia maggiore del giudice ucciso il 19 luglio del 1992. 

(Adnkronos)