E’ morta Marina Cicogna, la regina del cinema italiano aveva 89 anni

(Adnkronos) –
E’ morta Marina Cicogna, aveva 89 anni. La nobildonna del cinema italiano si è spenta oggi nella sua casa di Roma dopo una lunga malattia. Nata a Roma il 29 maggio del 1934, Marina Cicogna Mozzoni Volpi di Misurata era un’attrice, fotografa, sceneggiatrice e prima donna produttrice in Europa. Il nonno era il conte Giuseppe Volpi, che fu presidente della Biennale di Venezia e fondatore della Mostra del Cinema, nel 1932, dal quale prende il nome la Coppa Volpi. Marina Cicogna si è spenta assistita da Benedetta Gardona, sua compagna da oltre trent’anni che lei aveva adottato.  

 

Nella vita è stata una contessa, al cinema è stata una regina, con il titolo di “prima grande produttrice cinematografica italiana” e “una delle donne più potenti del cinema europeo”, secondo l’incoronazione del “New York Times”.  

Tra i suoi primati, stando alle cronache rosa, c’era anche quello di essere stata la prima donna in Italia ad amare pubblicamente un’altra donna: visse per vent’anni con l’attrice Florinda Bolkan, adottando poi come figlia la sua attuale compagna, Benedetta Gardona. 

“Il cinema è nella mia vita da sempre, è stato il folle amore della mia vita”, amava ripetere “la contessa di Cinecittà”, ricordando che suo potente nonno, il conte Giuseppe Volpi di Misurata (1877-1947) – governatore della Tripolitania, ministro delle finanze, presidente della Biennale di Venezia e presidente di Confindustria – era stato l’artefice del primo Festival del Cinema al mondo, la Mostra d’Arte Cinematografica al Lido di Venezia, da lui creata nel 1932. 

Con la Euro International Films, acquistata dalla sua famiglia e controllata con il fratello Bino (morto suicida nel 1971), Marina Cicogna ebbe il compito di scegliere i film da distribuire in Italia. Dopo i grandi successi di “L’uomo del banco dei pegni” (1964) di Sydney Lumet e “Bella di giorno” (1967) di Luis Buñuel, decise di produrre il suo primo film, “Metti, una sera a cena” di Giuseppe Patroni Griffi. La lista dei grandi film da lei prodotti è lunga e di grande successo, da “Teorema” a “Medea” di Pier Paolo Pasolini, a “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” (Oscar come migliore film straniero nel 1971 e Premio speciale della giuria al Festival di Cannes nello stesso anno) e “La classe operaia va in paradiso” di Elio Petri a “Uomini contro” di Francesco Rosi a “Mimì metallurgico ferito nell’onore” e “Film d’amore e d’anarchia” di Lina Wertmuller a “Fratello sole, sorella luna” di Franco Zeffirelli a “C’era una volta il West” di Sergio Leone. 

Progettò “Ultimo tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci e “Il portiere di notte” di Liliana Cavani per la Paramount, che non vollero produrli, e riuscì a fare “Anonimo veneziano”. Dopodiché andò a vivere per qualche anno tra Los Angeles e New York, poi in Brasile, quindi nuovo a New York e infine il ritorno nella sua amata Roma. 

Una carriera stellare ma parca di riconoscimenti: l’onorificenza di Grand’Ufficiale al merito della Repubblica italiana, consegnata nel 2012 dal presidente Giorgio Napolitano, e il Premio David di Donatello alla carriera nel 2023, lo stesso della pubblicazione della sua autobiografia, “Ancora spero. Una storia di vita e cinema” (Marsilio Specchi, a cura della giornalista Sara D’Ascenzo). 

Tra set turbolenti e dimore paradisiache, Marina Cicogna ha avuto amicizie indissolubili – da Valentino a Jeanne Moreau, da Franco Zeffirelli a Ljuba Rizzoli, da Pierre Cardin a Henry Fonda – sodalizi professionali che hanno lasciato il segno – da Giuseppe Patroni Griffi a Gian Maria Volonté, da Ennio Morricone a Elio Petri – e flirt leggendari – da Farley Granger ad Alain Delon, da Lex Barker a Warren Beatty, a Rock Hudson. Se “la storia più importante fu una lunga amicizia amorosa con Franco Rossellini”, per lei dichiaratamente bisessuale, i legami più duraturi sono stati con due donne: Florinda Bolkan, che lei stessa scoprì e lanciò come attrice, e Benedetta Gardona (di circa vent’anni più giovane). Cicogna non ha mai cercato di nascondersi né di esibirsi: “Non avevo convinzioni precise sulle scelte sessuali, ho sempre creduto nell’incontro tra le persone”. “Ho vissuto semplicemente come volevo vivere. Ma a casa mia – ha detto in un’intervista – Ho rispetto per gli altri. Non si dovrebbe spiare cosa succede in camera da letto. Non mi piacciono le ghettizzazioni, ma neanche gli esibizionismi. Allo stesso modo non bisogna avere paure. E forse io e Florinda siamo state tra le prime a non avere paura. Eravamo due persone note, con una vita pubblica che suscitava interesse”. E della Bolkan ha detto: “Era speciale, solare, libera, disinibita, con un sorriso infantile”. 

Come nobildonna, ha conosciuto e frequentato, tra gli altri, re Idris di Libia, Lady D, Hilary Swank, Margaret d’Inghilterra e il marito Lord Snowden. E anche un re senza corona come Gianni Agnelli, che di lei disse una volta: “E’ l’unico uomo al mondo che mi faccia paura”.
 

Nata il 29 maggio 1934 Roma, a palazzo Volpi, da Cesare Cicogna Mozzoni e Annamaria Volpi di Misurata, Marina Cicogna, dopo la maturità classica si laureò in Arti al Sarah Lawrence College di New York. Il cinema non è stata solo la sua professione, ma la passione di una vita, nata durante le estati da bambina al Lido di Venezia passate a vedere i film della Mostra ideata dal celebre nonno. Fin da ragazza è stata sui set e da giovane ha conosciuto il jet-set (“il cinema era in ogni luogo, in ogni casa che frequentavo”), 

Nel 1967 il fratello Bino ottene la maggioranza della Euro International Films, casa di distribuzione e produzione romana, e lei, sfidando le diffidenze altrui (parenti in primis), sceglie di stare in prima linea nell’azienda, con la quale aveva già immesso nel mercato cinematografico italiano una grande quantità di film prodotti all’estero spesso da case indipendenti. Anticipando i tempi – mentre impazzava la contestazione giovanile, la rivoluzione dei costumi e la liberazione sessuale) – lanciò lo sguardo oltre gli steccati. 

Marina Cicogna scelse di distribuire “Helga”, un documentario didattico tedesco diretto da Erich F. Bender e interpretato da Ruth Gassmann e Eberhard Mondry sul percorso di una donna incinta (“Lo sviluppo della vita umana” e “Il concepimento, la fecondazione, la nascita, i problemi sessuali” sono i sottotitoli con cui circola in Italia). Ne colse la portata scandalistica, assoldò il press agent Enrico Lucherini che arruolò comparse per fingere malori nelle sale cinematografiche durante le scene del parto e ottenne il maggior incasso italiano della stagione 1967-68. 

Nel 1967 porta tre film in concorso a Venezia, la città che lei considera un nido di famiglia: “Edipo re” di Pier Paolo Pasolini, “Lo straniero” di Luchino Visconti e “Bella di giorno” di Buñuel che conquista il Leone d’oro. L’anno dopo torna al festival veneziano, in piena contestazione, con “Teorema” di Pasolini, dove aveva imposto Terence Stamp al posto di un ragazzo di vita desiderato dal regista. E sempre nel 1968 produce “Il giorno della civetta” di Damiano Damiani, “I giovani tigri” di Antonio Leonviola, “C’era una volta il West” di Sergio Leone (1968) e con “Il medico della mutua” di Luigi Zampa interpretato da Alberto Sordi sbanca al botteghino. 

La svolta, professionale e anche romantica, avviene con “Metti, una sera a cena”, film che riesce a realizzare nonostante i capricci del regista Giuseppe Patroni Griffi, il forfait all’ultimo minuto di Gian Maria Volontè (a disagio con un film così borghese) e dove lancia un’attrice brasiliana da lei scoperta, Florinda Bolkan, al massimo splendore, che di lì a poco diventerà la sua compagna di vita per vent’anni. Il box office le dà ragione e Ennio Morricone consegna ai posteri un’indimenticabile bossa nova. Ed è sempre lei a proporre per “Anonimo veneziano” (1970) diretto da Enrico Maria Salerno la Bolkan affiancata da Tony Musante. 

Mentre il fratello Bino si dedica alle super produzioni, Marina sceglie il cinema d’autore: dopo “Medea” (1969) di Pasolini, si occupa della distribuzione antimilitarista “Uomini contro” (1970) di Francesco Rosi, lo stesso anno di “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Elio Petri (1970), da lei definito “Il film più facile da realizzare” conquistando Hollywood con l’Oscar ad un film ‘politico con un commissario omicida (Gian Maria Volontè) e Cannes. Vince la Palma d’Oro al Festival di Cannes nel 1972 con “La classe operaia va in Paradiso” di Petri, magistralmente interpretato da Volontè, scuotendo la sinistra per il ritratto dei sindacalisti opportunisti. 

L’amico Franco Zeffirelli l’accusa di finanziare solo i registi ‘rossi’ ed ecco che lei gli produce “Fratello Sole, sorella Luna” (1972). Nel 1972 punta su Lina Wertmuller e produce “Mimì metallurgico ferito nell’onore” (1972), vorrebbe Marcello Mastroianni e Monica Vitti e non Giancarlo Giannini e Mariangela Melato; ma dopo certe incomprensioni per “Film d’amore e d’anarchia” (1973) Cicogna rifiuta “Travolti da un insolito destino”, di cui poi si pentirà. Conclude la sua carriera di produttrice con “Lo chiameremo Andrea” (1972) e “Una breve vacanza” (1973), entrambi diretti da Vittorio De Sica. Una carriera interrotta dalle difficoltà finanziarie della sua società dopo la tragica morte del fratello. 

Tra tanti classici, resta il dispiacere per non aver potuto produrre “Il conformista” di Bernardo Bertolucci e “Il portiere di notte” di Liliana Cavani. Un decennio avventuroso e sfavillante di produttrice, si chiude per Marina Cicogna con qualche film per stare accanto all’amata Florinda Bolkan (“Il sorriso del grande tentatore”, “Le orme”). Nel 1976 Alberto Sordi la convince a recitare una piccola parte nel suo “Il comune senso del pudore”. 

“Per me sarebbe stato facile fare un film di grande budget con Federico Fellini o con Luchino Visconti, li conoscevo bene, ma non mi interessava, preferivo vedere e inventare talenti meno noti”, ha rievocato anni dopo in un’intervista dedicata alla sua carriera di ex produttrice. 

Per il resto è stata una vita vissuta dagli anni Ottanta tra gli Stati Uniti e il Brasile, tra New York e Miami, fino al rientro a Roma. Venezia, Milano e Modena, dove Marina ha deciso di vivere parte della sua vita con Benedetta Gardona, sono le altre città amate. 

Cicogna ha pubblicato diversi libri fotografici, come “Scritti e Scatti” (Mondadori Electa, 2009) – catalogo della omonima mostra di Roma (Villa Medici, 4 giugno – 3 luglio 2009) con ottanta fotografie, scandite come pagine di un diario personale o un album di ricordi, che ripercorrono la sua attività nel cinema – “La mia Libia” (Edimond, 2012), sul decennio parzialmente vissuto a Tripoli (1957-1967), e “Imitatio vitae” (Marsilio, 2019) 

(di Paolo Martini) 

 

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