(Adnkronos) – “Non sono Sandra e Raimondo, come maligna la critica. E neppure Ginger e Fred. Non governeranno mai assieme, Giorgia Meloni ed Enrico Letta. Eppure, a dispetto delle infinite differenze che li separano, c’è un filo sottile che li avvinghia. Non tanto da creare un nuovo consociativismo a cui si dichiarano alieni, lei e lui. Ma quanto basta a segnalare quelle minime affinità che danno senso, vigore e misura al dispiegarsi del conflitto politico ed elettorale.
Non è un caso che tutte le presentazioni di libri di questi ultimi tempi avvengano arruolando i due come guest stars. Infatti, essi guidano i due partiti più forti, stando almeno ai sondaggi. Sono due professionisti, detto in senso buono. Sono atlantici, tutti e due. Sono europeisti, anche se uno lo è al modo dell’Europa, l’altra pretende di esserlo a modo suo. Sono rampolli di due scuole politiche che risalgono molto indietro nel tempo. E infine, ultima tra le loro affinità, avrebbero votato volentieri per Draghi al Quirinale -anche se nessuno dei due lo ha mai detto chiaro e tondo.
Insomma, i punti di contatto tra Giorgia ed Enrico sono molti. E forse quello che più li unisce è proprio la consapevolezza che non si troveranno mai, proprio mai, a dover convivere sotto lo stesso tetto di governo. A loro verrà risparmiata questa fatica, e credo che entrambi lo apprezzino. Non fosse altro per l’estrema stanchezza che debbono provare, tutti e due, al pensiero dei loro vicini.
Non sono proprio comodissimi, infatti, quei vicini. Letta deve vedersela tutti i giorni con quel che resta del M5S e della leadership di Conte. Un’infinità di punture di spillo (e non solo spillo) verso il governo di cui fanno parte insieme. Un’estrema difficoltà a mettere ordine nelle coalizioni locali sparse qua e là per la penisola. E una quantità di differenze su temi anche cruciali, a cominciare dalla politica estera. Meloni a sua volta ha quasi evitato fisicamente ogni contatto con Salvini e Berlusconi dal bis di Mattarella in poi. E quando infine si è rassegnata a vederli ha preso atto che non esiste argomento -dall’Ucraina di Zelensky alla Sicilia di Musumeci- su cui si registri davvero tra loro un briciolo di unità di vedute e di interessi.
Così il vantaggio reciproco tra Giorgia ed Enrico sta appunto nel fatto che non si troveranno mai seduti attorno allo stesso tavolo in quel di Palazzo Chigi. E dunque eviteranno di sommare ai dissensi tra avversari, che non sono pochi, i dissensi (e i veleni) tra alleati, che sono anche di più. Circostanza che li dispone forse a una qualche reciproca, sottintesa complicità. Ma che per il sollievo di entrambi non va mai oltre.
Ora però questo vantaggio dovrebbe essere in qualche misura ripagato. Sottratti tutti e due al rischio di una coalizione comune dovrebbero piuttosto sobbarcarsi l’onere di una sorta di patto istituzionale. Dichiarare su quali basi si svolgerà il loro antagonismo. Assicurarsi a vicenda un codice di comportamento comune, vincolante per entrambi a prescindere da chi dei due si troverà al governo e chi all’opposizione. Si tratta insomma di ragionare a due teste su come procedere riguardo a tutte quelle materie (riforma costituzionale, legge elettorale, regole del gioco, e via dicendo) su cui le maggioranze che verranno, e le opposizioni che seguiranno, dovrebbero mettersi al riparo dalla tentazione delle reciproche forzature a cui abbiamo assistito fin qui.
Tutte cose che i due, Giorgia ed Enrico, probabilmente sottintendono. E forse, chissà, devono pure esserselo detto a vicenda. Ma una cosa è l’implicito, altra cosa sarebbe un pronunciamento solenne. I loro alleati, c’è da scommetterci, la prenderebbero male. Ma forse questa può essere una ragione in più per esplicitare quello che tutti hanno inteso. Dovessero combattersi con maggiore fair play e stipulare tra loro una sorta di nuovo codice repubblicano, o almeno tracciare un confine entro cui contendersi la guida del paese, non sarebbe una cattiva notizia”.
(di Marco Follini)