Elezioni midterm 2022, Usa al voto: cosa può cambiare

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Martedì 8 novembre l’America vota nelle elezioni di midterm 2022 e torna alle urne per la prima volta dopo che Donald Trump ha contestato i risultati del voto del 2020 ed i suoi sostenitori hanno preso d’assalto il Congresso, in una sanguinosa insurrezione, per impedire la ratifica della vittoria di Joe Biden. La tornata elettorale di midterm si presenta quindi come test per la democrazia americana, con gli occhi già rivolti alla corsa per la Casa Bianca del 2024.  

Tradizionalmente un referendum sull’operato del presidente in carica, negli ultimi cicli elettorali le elezioni di midterm (nelle quali si rinnovano tutti i 435 deputati e 35 dei 100 senatori) hanno punito il partito dell’inquilino della Casa Bianca. E’ successo a Barack Obama nel 2010, prima di lui a Bill Clinton nel 1994, ed entrambi poi hanno vinto due anni dopo il loro secondo mandato. Per Joe Biden però la situazione si presenta più complessa: una pesante sconfitta per i democratici darebbe più forza a chi nel partito crede che nel 2024 si dovrebbe puntare su un candidato nuovo e non su un presidente che compirà 80 anni il prossimo 20 novembre.  

Sul fronte opposto, anche Donald Trump vede le elezioni di martedì come un trampolino per la sua nuova candidatura alla Casa Bianca, che lui stesso ha fatto capire che arriverà “molto presto”, con fonti dell’entourage dell’ex presidente che hanno anche indicato una data, il 14 novembre. Decisivo sarà il risultato delle decine di candidati da lui sostenuti, ed in alcuni casi scelti e spinti in campo, la cui vittoria aumenterebbe in modo decisivo il suo peso, non solo sulla base elettorale, ma anche all’interno del Congresso.  

La vittoria dell’esercito di candidati trumpiani, che ritengono che l’elezione di Biden non sia stata legittima rischia di diventare un grave problema per la democrazia nel 2024. Perché molti di questi candidati avranno ruoli, di governatore o segretario di Stato, che permetteranno loro di controllare, e influenzare, i sistemi elettorali degli stati nelle prossime elezioni.  

Uno di loro, Jim Marchant, candidato a segretario di Stato in Nevada, è stato molto esplicito: “Quando sarò eletto segretario di Stato, insieme agli altri segretari di Stato, aggiusteremo le cose in tutto il Paese, e il presidente Trump tornerà ad essere presidente nel 2024”.  

La vittoria repubblicana alla Camera, soprattutto se porterà al Congresso molti esponenti del Maga, il movimento di estrema destra ispirato ai principi di Trump di America First, potrà avere drastiche conseguenze anche per l’impegno degli Usa al fianco dell’Ucraina. “Con una maggioranza repubblicana, all’Ucraina non andrà più neanche un penny”, ha tuonato in un comizio al fianco di Trump Marjorie Taylor Greene, la deputata vicina alla setta Qanon, che nel criticare l’impegno al fianco di Kiev in questi mesi spesso è apparsa ripetere argomenti usati da Mosca.  

Affermazioni che fanno prevedere una spaccatura all’interno del partito repubblicano, tra l’establishment che sostiene l’amministrazione Biden nella difesa di Kiev, e la rumorosa, e si prevede più numerosa dopo martedì, ala di estrema destra che, soprattutto alla Camera, intende far sentire la sua voce. Tanto che Kevin McCarthy, che spera di diventare il prossimo Speaker, sta già cercando di ingraziarsela affermano che il Congresso non “firmerà assegni in bianco all’Ucraina”.  

C’è poi la battaglia per le nomine dei giudici, meno evidente, ma che è sicuramente fondamentale per la politica americana, come ha dimostrato in modo clamoroso la sentenza sull’aborto della Corte Suprema a maggioranza conservatrice. In risposta ai 200 giudici federali nominati da Trump durante il suo mandato, Biden in questi due anni ne ha nominati ben 75, superando il numero di nomine fatto sia da Trump che da Obama nello stesso periodo.  

Ed alle nomine di conservatori, il presidente democratico ha contrapposto un record di nomine di donne e di persone di colore, come la prima giudice afroamericana della Corte Suprema, Ketanji Brown Jackson. Ma questo attivismo avrebbe una drastica battuta d’arresto nel caso di una sconfitta democratica al Senato.  

Infine, la questione dell’attacco all’aborto, che i democratici speravano che, dopo la decisione della Corte Suprema di revocare il diritto costituzionale di scelta per le donne, potesse essere la carta vincente per loro in queste elezioni, che invece appaiono, stando ai sondaggi dominate dalle preoccupazioni, e la rabbia, degli elettori per l’aumento dei prezzi, dovuto ad inflazione e crisi energetica.  

In ogni caso, in cinque stati gli elettori martedì saranno chiamati a votare anche per referendum sull’aborto: in Michigan, California e Vermont per garantire il diritto della libertà riproduttiva, in Kentucky e Montana invece per limitare l’accesso all’interruzione di gravidanza.  

Dallo scorso giugno, Biden continua a ripetere che un Congresso con una più grande maggioranza dem potrebbe far passare una legge che a livello nazionale codifichi e difenda il diritto di scelta delle donne. Ma invece una vittoria repubblicana, farebbe avanzare lo spettro di proposte di legge, che alcuni repubblicani hanno già annunciato, per imporre a livello nazionali le limitazioni all’accesso all’aborto che da giugno in poi sono state imposte in decine di stati a guida repubblicana.  

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