Solo il 3,5% dei Comuni italiani (280 su un totale di 7904) si è schierato nel 2020 al fianco dell’amministrazione finanziaria, trasmettendo all’Agenzia delle Entrate informazioni che si sono rivelate utili per individuare comportamenti evasivi e/o elusivi. O meglio, tale è il numero delle segnalazioni andate a buon fine e che ha portato nelle casse dei 280 enti coinvolti un tesoretto da poco meno di 6,5 milioni di euro. Un gettito non trascurabile ma che è stato oggetto di una erosione costante e che si è dimezzato rispetto a 5 anni fa, quando la somma degli stessi contributi era stata pari a 13,3 milioni. A tirare le somme relative alle cosiddette “segnalazioni qualificate”, basate sui dati diffusi da Viminale e Ministero dell’Economia e delle Finanze, è il Centro Studi Enti Locali in un report per l’Adnkronos.
Dietro a questo strumento ci sono potenziali risvolti economici, tutt’altro che di poco conto. Per incentivarne l’uso, il legislatore ha previsto di riservare al Comune che è autore della segnalazione che si traduca in un effettivo recupero di risorse, una quota di compartecipazione al gettito che originariamente era stata fissata nella misura del 30% delle maggiori somme relative ai tributi erariali riscossi a titolo definitivo. Tale percentuale è stata poi elevata a più riprese, passando prima al 33%, poi al 50% nel 2011, anche in relazione alle somme riscosse a titolo non definitivo. A partire dal 2012, il limite è stato poi innalzato al 100%. Una misura, quest’ultima, che è nata come transitoria (e tuttora lo è) ma che è stata sinora prorogata di anno in anno.
A dispetto degli incentivi decisamente cospicui, rileva il Csel, gli enti locali non sono mai stati molto inclini ad avvalersi di questo strumento. La partecipazione, da sempre modesta, si sta progressivamente contraendo e i Comuni che hanno beneficiato del frutto di questa sinergia con l’amministrazione finanziaria sono si sono quasi dimezzati in 5 anni. Nel 2020, come anticipato, sono stati 280 contro i 387 del 2019, i 393 del 2018, i 435 del 2017 e i 517 del 2016. Analoga la parabola discendente del gettito, passato da 13,3 milioni del 2016 ai 13,2 del 2017, 11,4 del 2018, 7,7 del 2019, per finire con gli 6 milioni e 490.976 dello scorso anno.
Stando ad una elaborazione di Centro Studi Enti Locali dei dati relativi ai trasferimenti 2021 (riferiti al 2020, e resi noti l’8 ottobre 2021), il grosso delle risorse recuperate attraverso questo strumento è destinato ad enti locali del Nord Italia. Trainato soprattutto da Emilia Romagna e Lombardia che da sole catalizzano il 65% delle somme (4.244.843), il Settentrione è destinatario dell’85,8% dei contributi derivanti dalla partecipazione dei comuni all’attività di accertamento fiscale e contributivo effettuata nell’anno 2020. Seguono il centro Italia, con l’11,2% e il Mezzogiorno, fermo a quota 2,91%.
Guardando alle singole Regioni, quella che stacca decisamente il resto del Paese è l’Emilia Romagna. Con 68 comuni “attivi nella lotta all’evasione” e 2.659.337 euro incassati, ha assorbito da sola più del 40% delle risorse complessive. Sul podio anche la Lombardia, con 77 enti coinvolti e contributi per 1.585.506 euro, e la Liguria (542.691 euro). A seguire troviamo: Piemonte (534.854), Toscana (435.635), Veneto (226.932), Marche (185.208) e Lazio (87.408), Calabria (74.819) e Sardegna (47.198) Nella parte più bassa della classifica si collocano: Umbria (23.108), Friuli Venezia Giulia (21.387), Campania (21.075), Puglia (20.441), Sicilia (12.743), Abruzzo (8.978) e Molise (3.650). Completamente assenti ben 3 Regioni – Basilicata, Trentino Altro Adige e Valle d’Aosta – che non risultano avere alcun Comune beneficiario delle risorse in questione.
A sorpresa, il Comune che ha ottenuto in assoluto i contributi più cospicui in tutta Italia è San Giovanni in Persiceto che, a dispetto delle ridotte dimensioni (conta solo 26992 abitanti), ha incassato ben 912.502 euro contro gli 81.820 di Roma, gli 81912 di Firenze, i 56541 di Venezia, i 21025 euro di Napoli o i 7415 di Padova. Un risultato straordinario quello di San Giovanni in Persiceto che tra l’altro non è inedito. Anche nei due anni precedenti era stato infatti questo piccolo ente del bolognese a portare a casa i contributi in assoluto più cospicui in Italia: 1 milione e 207.344 euro nel 2019 e 1.519.052 nel 2018. Il secondo Comune che si è dimostrato più collaborativo nella lotta all’evasione nel 2020 è Genova, al quale sono stati assegnati 473.057 euro. A seguire, Torino (404.182), Milano (350.195) e Bologna (309.890).
Ma che cosa sono esattamente le segnalazioni qualificate? L’istituto della partecipazione dei comuni all’accertamento fiscale ha origini lontane. Già l’articolo 44 del Dpr. 600/1973 sancì che gli enti locali partecipassero “all’accertamento dei redditi delle persone fisiche […] avvalendosi della collaborazione del consiglio tributario se istituito”. La pratica è stata poi rilanciata nel 2005 con il primo tentativo di incentivazione economica per i Comuni che partecipassero all’attività di accertamento fiscale, fornendo informazioni “suscettibili di utilizzo ai fini dell’accertamento dei tributi erariali, diretti e indiretti”.
L’istituto è stato confermato anche con il cosiddetto “federalismo fiscale” attuato dal Dlgs. n. 23/2011 ed è stato mantenuto fino ad oggi. Gli ambiti d’intervento potenziale sono: commercio e professioni; urbanistica e territorio; proprietà edilizie e patrimonio immobiliare; residenze fittizie all’estero e disponibilità di beni indicativi di capacità contributiva. Come anticipato, gli incentivi economici sono stati via via elevati, fino a toccare quota 100% del gettito derivante da ogni segnalazione che va a buon fine.
Perché quindi questo strumento è utilizzato solo da 3 comuni su 100? Un elemento che sicuramente costituisce un freno importante al diffondersi delle segnalazioni qualificate è il fatto che la procedura da adottare per inoltrarle, è molto farraginosa. Le segnalazioni dei Comuni devono contenere i dati identificativi del soggetto in relazione ai quali sono rilevati comportamenti evasivi ed elusivi “senza ulteriori elaborazioni logiche”. In sostanza, non basta indicare un potenziale evasore adducendo motivazioni generiche, ma il personale comunale deve mettere in piedi una vera e propria istruttoria e questo richiede tempi lunghi, personale qualificato e risorse strumentali e tecnologiche adeguate. Viene da chiedersi quindi, sottolinea lo Csel, se, anziché continuare a puntare sulla “leva dell’alto profitto” per i comuni autori delle segnalazioni, non sarebbe più proficuo adottare una strategia alternativa: abbassare nuovamente la quota di compartecipazione al gettito ma alleggerire il grado di accuratezza atteso dagli enti, facendo sì che ad approfondire le singole situazioni sospette sia l’amministrazione finanziaria.