Un primo violino. Giulia Cecchettin riceve la laurea (alla memoria) in Ingegneria biomedica, il titolo che si è conquistata, che le sarebbe spettato di diritto, che non rappresenta né un omaggio né un risarcimento. All’Università di Padova, davanti alla sua famiglia e agli amici, la studentessa di 22 anni si ‘riprende’ quello che l’ex fidanzato Filippo Turetta le ha tolto l’11 novembre scorso, a soli cinque giorni da quel sogno, quando l’ha uccisa a coltellate, ha nascosto il suo corpo senza vita e solo dopo una settimana di fuga ha confessato il delitto.
Le cerimonia nell’aula magna di Palazzo Bo è un “atto d’amore” per una “ragazza stupenda che non vedeva l’ora di indossare la sua merita corona d’alloro” dice commosso papà Gino. “Non sai quante volte ti ho immaginato sorridente, solo come tu sapevi essere, e gioire con noi per questo momento a cui tenevi tanto. Non hai potuto assaporare di persona la felicità per il meritato traguardo. La scelta della facoltà di Ingegneria mi aveva lasciato perplesso. Volevi fare Lettere, ma hai preferito una scelta con più opportunità di lavoro e l’hai seguita fino in fondo, con il massimo impegno”. La morte di Giulia “Ha provocato uno squarcio nelle nostre coscienze e nella mia per primo. Ero fiducioso che avresti fatto grandi cose, ma non mi rendevo conto di che gigante tu fossi. Farò il possibile perché il tuo nome e il tuo esempio di vita possa spingere le persone a riflettere sull’importanza dell’empatia e della solidarietà che tu, nella tua semplicità, hai incarnato in modo esemplare. Mi manchi, ci manchi più dell’ossigeno” sussurra prima di lasciare la parola alla figlia Elena, capace – subito dopo il femminicidio – di trasformare un lutto privato in dolore collettivo.
Oggi Elena è ‘solo’ una sorella. “Non sai quanto sono fiera di te, di come lo sia sempre stata. Ti ho sempre ammirato tanto, ti ho sempre visto come un piccolo genietto, sei riuscita essere una brava studentessa in Ingegneria, una facoltà che sapevo non essere la più affine a te, al tua animo romantico, eppure ce l’hai fatta e alla grande. Ora posso dirlo senza che tu dica che non è ancora vero, complimenti ingegnere”. Gli applausi riempiono più volte la sala, ma non si può fingere che oggi ci sia una sedia vuota. “Hai fatto tante belle cose per te stessa e per noi, ma non dobbiamo mai dimenticare quante cose avresti potuto fare se non ti fosse stata tolta la possibilità di farlo. Non dobbiamo dimenticarcene perché a nessuna altra donna venga tolta la possibilità di farlo” conclude Elena.
La cerimonia è “un atto dovuto” a voler usare le parole della ministra dell’Università e della ricerca Anna Maria Bernini, ma è anche un’occasione per ricordare che il femminicidio non è una questione di donne e ognuno di noi deve fare qualcosa: non esiste l’indifferenza, l’indifferenza è un insulto a Giulia” a cui l’Ateneo ha dedicato una panchina rossa simbolo contro la violenza sulle donne, un’aula e un premio di laurea che porta il suo nome. “Era sorridente, interessata, un ‘primo violino’, ovvero una di quelle studentesse che noi docenti prendiamo a riferimento per intuire la bontà delle lezioni. Aveva preparato una tesi brillante, era pronta a uno di quei giorni che si mettono fra quelli che si ricordano, non fra quelli che fanno volume, della propria vita” spiega la rettrice Daniela Mapelli.
Aveva approfondito lo sviluppo di biomateriali per la ricostruzione chirurgica e la rigenerazione dei tessuti tracheali, confrontando le diverse soluzioni presenti nella recente letteratura scientifica. “Quello che più mi ha colpito di Giulia è stato il suo modo di fare estremamente corretto, il suo impegno serio e costante, il suo atteggiamento gentile e attento. Purtroppo oggi non è qui per poter ascoltare il mio apprezzamento verso il suo impegno. Penso, però, che sia importante ricordarla, soprattutto come una giovane donna molto determinata nel costruire il suo futuro” dice senza trattenere la commozione la relatrice Silvia Todoros. Un oplita, come amava definirsi, che “ce l’avrebbe fatta a raggiungere e realizzare i suoi sogni” ricorda un’amica. “La storia di Giulia ci deve insegnare che mai a nessuno devono essere strappati i sogni, a nessuno deve essere tolta la libertà di vivere ed essere se stesso e tutti dobbiamo impegnarci perché questo avvenga”. Nessuno pronuncia il nome di Filippo nel giorno di Giulia, ma lui – compagno di studi – qui ha attraversato corridoi e incrociato sguardi prima di essere capace di “una violenza che fa ancora più paura perché non riusciamo a decifrarla, capirla, perché è nata in un contesto di normalità” spiega la rettrice.
“Abbiamo toccato con orrore a cosa può portare il disagio che coglie un giovane uomo, un nostro studente che frequentava le nostre aule. E come professore di tanti di loro, come padre, come uomo mi riprometto di fare qualcosa per poter, nel piccolo della realtà universitaria che rappresento, essere un appoggio quando dovessero trovarsi in difficoltà” aggiunge Gaudenzio Meneghesso, direttore del dipartimento di Ingegneria dell’informazione. “Tutti noi sappiamo che non basteranno i gesti simbolici, ma sappiamo quanto questi siano impregnati di valore. Partiamo da qui, quindi: dal conferire a Giulia Cecchettin il titolo che le sarebbe spettato. Non è un risarcimento: era già suo”.