(Adnkronos) – “Dovrebbero esserci più donne al comando”, perché avere quote rosa più consistenti nei posti di potere “potrebbe facilitare un cambiamento collettivo che porta a meno conflitti e guerre”. Questo perché “le donne sono ‘cablate’ in maniera diversa rispetto agli uomini, fin nel funzionamento del loro cervello. E ciò ha implicazioni sugli stili di leadership che i due sessi interpretano e anche sulla probabilità di degenerazione delle situazioni in conflitti e guerre”. Insomma, le donne sono ‘biologicamente’ tendenti a essere leader pacifiste e se fossero di più nelle posizioni che contano potrebbero esprimere questa loro dote di empatia senza essere costrette ad adottare uno stile più maschile di governare, e spingere così il mondo verso una direzione di pace.
A prendere posizione sono le scienziate di Women’s Brain Project (Wbp). Il portale dell’organizzazione fondata dalle italiane Antonella Santuccione Chadha, medico, patologo clinico, esperta di neuroscienze e delle malattie del cervello, e Maria Teresa Ferretti, laurea in Chimica e Tecnologie farmaceutiche, esperta di Alzheimer e medicina di genere, che pubblica una riflessione che prende spunto da quello che sta succedendo in Ucraina. ‘La scienza dell’empatia e della guerra: perché è tempo che le donne siano al comando’, è il titolo dell’intervento firmato da Shahnaz Radjy. Si parte da una domanda: cosa si sarebbe potuto fare per evitare la guerra in Ucraina? Il dibattito è stato acceso dalle parole della top manager di Meta, Sheryl Sandberg, secondo la quale nessun Paese guidato da donne entrerebbe mai in guerra.
Sulla scia di questa affermazione sono seguite analisi che sostengono che il fattore rosa – per quanto gli studi certifichino il ‘tesoretto di empatia’ portato dalle donne – non abbia il potere di fare questa differenza all’atto pratico, o comunque non ci siano prove che lo abbia. Le scienziate autrici dell’intervento hanno voluto fare chiarezza, presentando le evidenze scientifiche disponibili. Evidenze che “ci portano a credere che dovrebbero esserci più leader donne”, incalzano. “Per cominciare – argomentano – le donne sperimentano l’empatia in modo molto più viscerale, poiché il loro cervello non si limita a registrarla, ma imita il dolore che vedono, facendoglielo sentire più delle loro controparti maschili che lo elaborano in modo diverso”.
“In situazioni di stress, l’empatia delle donne aumenta, accrescendo la loro capacità di comprendere la prospettiva dell’altro e facilitando così un approccio collaborativo. Negli uomini, invece, situazioni simili innescano i loro riflessi del ‘combatti o fuggi'”. Le donne, continuano le esperte, sono inoltre predisposte a produrre ossitocina, anche noto come ‘l’ormone dell’amore’, che alimenta azioni specifiche, sia nei confronti dei propri figli che come comportamento innescato o appreso”. A sostegno di questa affermazione, citano un esperimento condotto su topi femmine vergini che ha dimostrato come, “compiendo azioni materne, questi roditori hanno sperimentato ormoni che sarebbero stati nel loro sistema solo se avessero partorito. Ciò indica la capacità delle donne di collaborare in un modo alimentato da ’empatia condivisa'”.
Che impatto ha la cultura in queste differenze di sesso con ‘base biologica’? “Gli studi di imaging condotti non possono dire se le differenze di sesso o genere siano dovute alla biologia o alla cultura, poiché il cervello non si sviluppa nel vuoto – ragionano le autrici – È quindi spesso impossibile identificare la causalità piuttosto che la semplice correlazione”. Per le scienziate, però, “è importante ricordare che l’intero spettro della ricerca” condotta finora “mostra che donne e uomini hanno tratti di leadership diversi e che ci sono vantaggi e svantaggi”.
Come menzionato in un articolo di ‘Forbes’, che ha fatto da scintilla per l’intervento di Wbp, “avere una donna singola in una posizione di leadership tra coetanei maschi riflette probabilmente un processo di selezione che favorisce i tratti maschili e la pressione sociale può portare a una maggiore aggressività nel tentativo di combattere gli stereotipi di genere in modo da non essere percepiti come deboli. È improbabile che le donne isolate in posizioni di leadership consentano un cambiamento sociale su larga scala. Ma un insieme di donne in posizioni di leadership in diverse aree geografiche”, sì. “Potrebbe bilanciare la pressione sociale percepita e facilitare un approccio alla leadership più collaborativo e guidato dall’empatia”.
Ecco perché, a detta delle scienziate, dovrebbero esserci più donne al comando e non ne bastano poche e sparse nel mondo. Ed ecco perché “gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite evidenziano l’uguaglianza di genere come prerequisito fondamentale per un mondo pacifico e sostenibile”.
La morale di questa riflessione? “I problemi di equità – fanno notare dal Women’s Brain Project – vengono spesso affrontati a seguito di crisi del sistema. Con questo in mente, la crisi attuale” rappresentata dal conflitto in Ucraina, “potrebbe essere una delle spinte sistemiche di cui noi, come società, abbiamo bisogno per agire da catalizzatore per il cambiamento istituzionale che porti a più donne in posizioni di leadership?”, è la domanda che si pongono le esperte.
“Al Women’s Brain Project (WBP) – concludono – crediamo fermamente che sia tempo di uguaglianza”. E di garantire “una diversità nella leadership, in base alla quale donne leader, abilitate dalle loro coetanee, possano lavorare con controparti dell’altro sesso per soluzioni ottimali che bilancino le tendenze estreme e più violente. E per avviare un’era dell’empatia”.