“La trattativa è una favoletta inventata”, la difesa chiede l’assoluzione per il generale Mori

La trattativa tra Stato e mafia “è una favoletta inventata” data “in pasto all’opinione pubblica” per “distrarla da storie poco commendevoli”. Mentre il generale Mario Mori è “da anni vittima di un killeraggio mediatico” e di una “giurisdizione politico-mediatico che tace davanti all’indagine ‘mafia e appalti’. Perché?”. L’avvocato Basilio Milio, legale storico del generale Mario Mori, parla per oltre quattro ore, davanti alla Corte d’Assise d’appello di Palermo, prima di chiedere “l’assoluzione” per l’ex ufficiale dell’Arma “perché il fatto non sussiste”. Un’arringa fiume, con una breve pausa, nell’aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo, per dire che la trattativa tra pezzi dello Stato e boss mafiosi “non è mai esistita”. E che il generale Mario Mori e il colonnello Giuseppe De Donno chiesero l’interlocuzione di Vito Ciancimino “nell’ambito di una attività info-investigativa per la cattura di latitanti”, come “dice anche la sentenza di assoluzione dell’ex ministro Calogero Mannino”. “Altro che trattativa…”, ripete l’avvocato. 

Rivolgendosi direttamente alla Corte d’assise d’appello di Palermo, presieduta da Angelo Pellino, l’avvocato Basilio Milio, ha detto: “Dovete ristabilire la verità anche per i giudici Falcone e Borsellino e per chi è morto per combattere la mafia”. E ai giudici popolari: “Voi qui siete colleghi di Falcone e Borsellino, ricordatevelo”. Poi Milio ricorda ancora la frase pronunciata da Paolo Borsellino il 18 luglio 1992, il giorno prima di essere ucciso nella strage di via D’Amelio, quando disse alla moglie, Agnese: “Non sarà la mafia a uccidermi ma i colleghi e altri che lo permetteranno”. E ricorda anche la frase detta da Borsellino alla presenza dei suoi colleghi, Alessandra Camassa e Massimo Russo che lavoravano con lui: “Un amico mi ha tradito”.  

“Borsellino non si poteva riferire ai Carabinieri”, dice ancora Milio. Nel verbale di interrogatorio del 14 luglio 2009 Alessandra Camassa, oggi presidente del Tribunale di Marsala, aveva raccontato per la prima volta quell’episodio specificando che lo sfogo di Borsellino era stato susseguente ad alcune domande che lei e il collega Russo gli avevano posto sui pericoli cui si esponeva tra l’altro interessandosi alle indagini relative alla strage di Capaci. E al processo disse in aula: ”Ricordo che il giudice Borsellino si alzò dalla sedia si distese sul divano manifestando stanchezza e avvilimento, iniziò a lacrimare in modo evidente. E ci disse: ‘Non posso credere, non posso credere che un amico mi abbia potuto tradire’. Io e il collega Massimo Russo siamo rimasti sorpresi. Questo pianto all’epoca mi impressionò, non avevo mai visto Borsellino piangere. Paolo era particolarmente turbato in quel periodo. Questo avvenne prima del 4 luglio ’92, giorno in cui venne celebrato ufficialmente la cerimonia di saluto a Borsellino che già da qualche tempo era tornato a Palermo lasciando la procura di Marsala. Solo anni dopo capii che quel particolare poteva avere un interesse investigativo ma di questo fatto ne parlammo in più occasioni con mio marito e con lo stesso Massimo Russo”.  

“L’incontro viene collocato tra l’1 e il 21 giugno 1992 – dice oggi l’avvocato Milio – Se fosse stato il generale Mori o il colonnello De Donno il traditore, o il generale Subranni, Borsellino sarebbe andato il 25 giugno alla caserma Carini dei Carabinieri per proporre di fare le indagini? O il 10 e 11 luglio sarebbe andato in trasferta in elicottero con Subranni, o ancora li avrebbe difesi il 14 luglio 1992, pubblicamente, i traditori? E il 18 luglio, il giorno prima di morire, disse: ‘Non sarà la mafia a uccidermi ma i miei colleghi e altri a permettere che ciò possa accadere, ma non menziona mai i carabinieri”. 

La Procura generale di Palermo di recente ha chiesto alla corte d’assise d’appello di confermare le condanne inflitte in primo grado a boss, ex carabinieri e politici imputati di minaccia a Corpo politico dello Stato nel processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. In primo grado il boss Leoluca Bagarella fu condannato a 28 anni di carcere, a 12 gli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni, l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri e l’ex medico fedelissimo di Totò Riina, Antonino Cinà. Otto anni la pena inflitta all’ex capitano del Ros Giuseppe De Donno. La Corte – in primo grado – aveva inoltre dichiarato il “non doversi procedere” nei confronti del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca per intervenuta prescrizione visto il riconoscimento delle attenuanti previste per i collaboratori di giustizia. Anche Massimo Ciancimino era stato condannato a 8 anni per calunnia e concorso esterno ma poi, nel secondo grado, la sua posizione è stata stralciata perché il reato è andato prescritto.  

“Il generale Mario Mori ha minacciato o no il governo? – dice Milio – Perché è questo il reato per cui il generale Mori è stato condannato a 12 anni ed è ancora sotto processo. Qui si è parlato di trattativa, vera o presunta, ma anche nella requisitoria non si fa riferimento alcuno alla minaccia che è il vero reato al centro di questo processo. Parlando poi della sentenza di primo grado dice tranchant: “E’ fallace sul reato della minaccia al governo”. ”Il capo di imputazione a carico dell’ex Generale Mori è che avrebbe realizzato una minaccia al governo – dice Milio- Perché voi, signori giudici, possiate decidere deve essere chiara una cosa: Mori ha minacciato o no il governo nel 1993 come ritenuto in sentenza?”. ”Siamo sicuri che Vito Ciancimino abbia detto che ci sarebbe stata una spaccatura tra Riina e Provenzano? – dice – No, non ci sono prove, anzi, al contrario abbiamo la certezza che non lo abbia detto”. Le arringhe difensive proseguiranno lunedì prossimo, 5 luglio, con l’intervento del legale del colonnello Giuseppe De Donno, l’avvocato Francesco Romito. (di Elvira Terranova) 

(Adnkronos)