(Adnkronos) –
E’ un no a tutto tondo quello di Beppe Grillo a modificare la regola dei due mandati, un niet che sbarra la strada anche a una ‘microderoga’ -idea accarezzata dai vertici- che salverebbe appena 3-4 persone. L’identikit dei ‘veterani’ che potrebbero beneficiarne è presto fatto: Alfonso Bonafede, ‘graziato’ per la legge sul ‘salvacorrotti’ -e artefice dello ‘sbarco’ di Giuseppe Conte nel M5S-; Paola Taverna, in quanto vicepresidente del Movimento; Roberto Fico, il più vicino allo stesso Grillo e forte della presidenza della Camera; Virginia Raggi, vicinissima anche lei al fondatore del M5S ma soprattutto tra i volti più amati dalla base grillina. Eppure anche questa manciata di nomi rischia di non sopravvivere alla regola aurea del Movimento, fortemente voluta da Grillo e l’altro fondatore, Gianroberto Casaleggio: due giri di boa e poi tutti a casa.
Fonti vicine a Grillo si erano dette convinte che una deroga mignon, uno strapuntino destinato comunque a scontentare i più, sarebbe passato. Ma chi ci ha parlato in queste ore, mentre dalla Costa Smeralda continua a sentire ininterrottamente i suoi, compreso il leader Conte, assicura all’Adnkronos che il no di Grillo non ammette deroghe, nemmeno per persone a lui così vicine, leggi Fico e Raggi. Stesso discorso per il ‘principio di rotazione’, ossia il via libera – a cui aveva aperto lo stesso Grillo solo qualche mese fa salvo poi cambiare idea – alle candidature per un seggio in Parlamento europeo o in Regione per chi ha alle spalle due mandati a Montecitorio o a Palazzo Madama, e viceversa. Grillo conferma di non voler derogare a una regola che, a suo dire, se verrebbe meno segnerebbe la fine del Movimento.
“Grillo è deciso a non concedere nessuna deroga nemmeno tra istituzioni diverse -racconta chi è vicino al garante- i big gli chiedono un pacchetto di nomi da salvare, ma Beppe non vuole. Conte è tra l’incudine e il martello, gli stanno addosso per ottenere una deroga e allargarne le maglie. Ma Beppe è stato molto chiaro e lo è più volte al giorno, perché su questo non lo lasciano in pace”. Chi è vicino a Grillo, sostiene oltretutto che Grillo sia l’unico custode dell’interpretazione delle regole M5S e che il suo giudizio sia insindacabile.
Anche se, a ben guardare, lo statuto M5S dà voce in capitolo al comitato di garanzia, che, “su proposta del presidente – è scritto nero su bianco – esamina e approva i Regolamenti esecutivi necessari per l’attività dell’associazione, ivi inclusi quelli inerenti alle modalità di selezione dei candidati alle cariche rappresentative”. Nel comitato di garanzia, per giunta, i tre membri sarebbero tutti in ‘conflitto d’interesse’ sulla regola dei due mandati, perché Raggi, Fico e la senatrice Laura Bottici, subentrata nel marzo scorso a Luigi Di Maio, contano tutti due mandati alle spalle, Raggi addirittura 3 per via della regola del ‘mandato zero’ voluta da Di Maio capo politico.
Lo statuto prevede inoltre che il Comitato di garanzia possa sfiduciare sia il presidente che il garante, con il via libera dell’assemblea degli iscritti, “ma è lunare pensare che Grillo possa essere sfiduciato”, è convinzione diffusa nel Movimento, granitica tanto quella dell”Elevato’ di non derogare alla regola dei due mandati. E al netto di quanto scritto sullo statuto, il peso specifico del giudizio di Grillo sulle regole M5S è elevatissimo.
“La podestà di Grillo è meramente contrattuale, non prevista dallo statuto – conferma all’Adnkronos Lorenzo Borré, l’avvocato da sempre a capo delle battaglie legali contro il M5S – ma il fatto che il titolare del contrassegno sia la sua mini associazione genovese indubbiamente rende ‘pesante’, quasi vincolante, il suo parere”. Dunque per i ‘veterani’ la possibilità di salvarsi è ridotta al lumicino. L’unico che potrebbe forzare, andando allo scontro con il fondatore, è Conte, ma tra i due -dopo continui alti e bassi- attualmente l’intesa è piena, difficile che il leader del Movimento sacrifichi il rapporto con Grillo sull’altare della regola dei due mandati. Inevitabilmente però monta la rabbia di chi rischia di restare ‘a bocca asciutta’, rabbia diretta verso il fondatore ma ancor più verso l’ex premier.