(Adnkronos) – “Posso essere sincero? A distanza di 24 ore dalla sentenza di condanna all’ergastolo per il boss Gaetano Scotto per l’omicidio di mio zio Nino e della moglie, io provo molta rabbia. Non riesco a darmi pace, perché non ho potuto incrociare lo sguardo di mio nonno Vincenzo durante la lettura del dispositivo. Lui, e mia nonna Augusta, che per 35 anni hanno lottato per avere giustizia, dovevano sentire ieri quelle parole pronunciate dal Presidente della Corte d’Assise: ‘Ergastolo”. Per 35 anni hanno arato un terreno duro, arido, quale era la Palermo degli anni Novanta. Se questo processo è nato è stato soprattutto grazie a loro. Grazie alla loro tenacia e alla loro testardaggine. Ecco perché avrebbero meritato di sentire quelle parole. Non riesco a sentirmi sollevato. No. Lo sarò solo quando lo Stato avrà il coraggio processare se stesso e le mele marce che ha al suo interno. Non saremo una democrazia compiuta, senza conoscere tutta la verità sull’omicidio di mio zio”. Nino Morana Agostino ha 23 anni. E’ il nipote di Vincenzo Agostino, l’uomo che per 35 anni, dal giorno in cui hanno ucciso il figlio, il 5 agosto del 1989, il poliziotto Nino Agostino, e la nuora, Ida Castelluccio, incinta di 4 mesi, non si è mai più tagliato la barba. Ma Vincenzo Agostino è morto nell’aprile scorso. E ieri, alla lettura della sentenza, nel posto lasciato vacante, al bunker, c’erano le figlie, i nipoti, gli amici. “Oggi mio nonno avrebbe finalmente tagliato la barba”, dice Nino Morana senza nascondere la tristezza.
Nino si laureato pochi mesi fa e oggi fa il volontario presso la cooperativa Placido Rizzotto. Il suo sogno è quello di potere entrare in Polizia, “per seguire le orme di mio zio Nino”, dice. “E se non dovessi riuscirci, continuerei a fare antimafia sociale…”. Ieri pomeriggio la Corte d’assise di Palermo ha emesso il verdetto, dopo 7 ore di camera di consiglio. Ergastolo per il boss Gaetano Scotto. Accolta la richiesta della procura generale. Il pg Umberto De Giglio, durante la requisitoria aveva detto che gli elementi raccolti ”in questo processo dimostrano con certezza che l’agente di polizia Antonino Agostino è stato assassinato da soggetti appartenenti a Cosa nostra”. In particolare “da Gaetano Scotto e Madonia”.
Secondo la procura generale, ”Scotto ha eseguito materialmente l’omicidio come ci riferiscono concordemente Vito Lo Forte, Vito Galatolo e Oreste Pagano in base alle informazioni che gli stessi hanno appreso da fonti e in contesti diversi”. ”Tutte le direzioni delle diverse visuali dalle quali si può analizzare il duplice omicidio si incrociano proprio sulla posizione della figura di Scotto. Tutte le traiettorie probatorie ci portano a Scotto”, aveva spiegato il Pg De Giglio durante la requisitoria.
Durante il processo era anche emerso che il poliziotto Nino Agostino, che all’epoca era in servizio al Commissariato di San Lorenzo di Palermo raccoglieva informazioni sui latitanti nel territorio del mandamento di Resuttana. “Un fatto importante da risultare decisivo nella valutazione di quella che deve essere la responsabilità di chi faceva parte di questa compagine criminale”, avevano spiegato le difese di parti civili, durante le arringhe.
“Ieri è stata una giornata molto intensa, io, mia mamma, siamo riusciti a sopportare la tensione grazie a tutte le persone che sono venute per aspettare la sentenza. Abbiamo avuto tanto tanto amore, e ci ha aiutato. Sono grato di averli avuti accanto”. Per Nino Morana Agostino “35 anni sono troppi per quello che dovrebbe essere garantito in uno stato di diritto. I nonni hanno avuto un impatto così grande nella vita di tanti italiani. Tutti gli amici mi hanno chiamato per chiedermi se c’erano novità. Avevano ansia per il verdetto”. Arrivato alle 17.16 di ieri.
Per la difesa di Scotto non si sarebbe trattato di un omicidio di mafia. Ma il delitto sarebbe stato di ben “altra natura che trae origine da ben altri rapporti”. Elementi che porterebbero “alla assoluta mancanza di prova nei confronti di Scotto Gaetano. Per tali motivi concludo, così come il mio precedente difensore, chiedendo l’assoluzione di Scotto Gaetano per non aver commesso il fatto contestato”, aveva detto l’avvocato di Scotto, Giuseppe Scozzola. “Un giochetto che hanno fatto per difendere l’indifendibile”, dice oggi Nino Morana. Ma poi aggiunge: “Però, in parte è vero. Perché non è stata solo mafia. Anche il mio legale di parte civile ha detto che si è mosso un parastato in questa vicenda dolorosa. Uno Stato deviato e con i Servizi deviati. Quindi un fondo di verità c’è”. “Ma voglio ricordare che Gaetano Scotto è stato riconosciuto da mia nonna come la persona che ha seguito mio zio fino all’aeroporto di Catania, dopo il matrimonio degli zii”.
Ieri Nino Morana uscendo all’aula bunker, dopo la sentenza, ha fatto un appello al boss Scotto. “Dica tutto quello che sa, perché i misteri sulla vicenda sono ancora tanti”. Ad esempio, quali? “Beh – dice Nino – quando è morto mio zio, hanno prelevato mia mamma Flora, ancora minorenne, per andare a prendere i documenti tenuti nell’armadio di mio zio. Nessuno ha mai saputo cosa ci fosse dentro. Non si sa che fine abbiano fatto. Non si sa cosa ci fosse scritto, che fine hanno fatto. E questo ha spinto la lotta trentennale dei nonni. Il nonno diceva: ‘Mi hanno vietato di leggere questi documenti’. Adesso io aspetto le motivazioni ma ancora non ci è chiaro il ruolo di mio zio con Giovanni Falcone, che indagini svolgeva ad esempio per i servizi segreti e cosa avesse scoperto per essere stato ucciso”.
Poi, sottolinea: “Io sono meno ottimista dei miei nonni. Mi ricordo che una volta, l’ex magistrato Roberto Scarpinato, il 23 maggio di due anni fa aveva dichiarato che i Servizi segreti, quando morì Falcone, entrarono nel suo ufficio, prelevarono appunti elettronici. Appunti sull’operazione militare Gladio, sull’omicidio Piersanti Mattarella e anche sull’omicidio di mio zio Nino Agostino. Quindi, anche Falcone indagava? Sono mie supposizioni. Ma mi piacerebbe avere una risposta…”. (di Elvira Terranova)