(Adnkronos) – Come la terziarizzazione sta cambiando le strategie delle aziende? Come cambiano i profili dei lavoratori e dei manager impiegati nell’industria? Quali aspetti necessitano di interventi di policy? A queste e molte altre domande ha risposto ‘Terziario e manifattura – Insieme per la sfida della doppia transizione’, l’incontro organizzato da Manageritalia e Intesa Sanpaolo per presentare il Report prodotto congiuntamente sul tema della crescente integrazione tra servizi e industria.
A confrontarsi oggi, durante un dibattito presso gli spazi di Intesa Sanpaolo in P.zza Belgioioso a Milano, sono stati: Gregorio De Felice – chief economist e responsabile Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo, Mario Mantovani – presidente Manageritalia, Emilio Rossi – responsabile Osservatorio del Terziario Manageritalia, Carlo Alberto Carnevale Maffè – professore di Strategia e Imprenditorialità SDA Bocconi school of management, Azzurra Rinaldi – direttrice School of Gender Economics e Stefano Venturi – presidente Cefriel, oltre a Ilaria Sangalli, senior economist, Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo e Adelaide Fabbi, Osservatorio del Terziario Manageritalia, che hanno curato la ricerca.
“Aumenta da tempo l’interrelazione e la sinergia tra manifattura e servizi, nelle catene del valore globali. E’ un fenomeno di cui i policy maker, le istituzioni, gli economisti, i finanziatori, gli imprenditori e i manager devono tener conto per far evolvere i modelli di business e le politiche industriali”, così commenta Mario Mantovani presidente Manageritalia che prosegue: “Una terziarizzazione sempre più protagonista dell’economia, un fattore chiave per le transizioni digitale e ambientale, con la necessità di individuare policy in grado di far crescere il valore aggiunto e la produttività, grazie soprattutto a investimenti nel capitale umano, manageriale e tecnico”.
“La crescita degli investimenti italiani, +20,4% nel quadriennio 2019-22, è ampiamente sostenuta dagli investimenti digitali, che giocano un ruolo determinante nell’influenzare la crescita economica del paese” spiega Gregorio De Felice, chief economist e responsabile Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo che conclude: “Gli investimenti in proprietà intellettuale, in particolare, rappresentano la componente più dinamica della spesa, con una crescita del 36,3% in un’ottica di lungo periodo 2008-22. Dietro questo dinamismo c’è l’effetto dell’adozione del pacchetto incentivante Transizione 4.0, più volte rimodellato e rifinanziato, che ha rivitalizzato l’industria ma anche gli annessi comparti dei servizi di mercato che sono a traino di questo processo di upgrading tecnologico. Agli incentivi per l’acquisto di beni e software si affiancherà ora Transizione 5.0, per spingere l’acceleratore sulla doppia transizione digitale e ambientale”.
Dall’analisi condotta dall’Osservatorio del Terziario Manageritalia e dalla direzione Studi e ricerche di Intesa Sanpaolo si evince come negli ultimi decenni si sia assistito a un crescente utilizzo di servizi nei processi industriali. Una terziarizzazione che riguarda tutte le fasi, dalla progettazione alla produzione, alla commercializzazione dei beni. L’Italia appare ben posizionata in questo percorso di integrazione tra terziario e processi produttivi, con un peso dei servizi di mercato sul valore dell’output manifatturiero che superava il 24% già nella fase pre-Covid, prima dell’accelerazione avviata dalla pandemia. Un dato secondo solo alla Francia (27,2%), tra i grandi paesi europei.
Determinante il contributo delle Attività professionali, tecniche e scientifiche (Apts), che giocano un ruolo chiave nell’affiancare le imprese industriali nell’R&D sperimentale, di fronte a una competizione globale che impone di spingere sull’offerta di beni innovativi. In Italia, è la filiera automotive a esercitare il principale effetto traino sulle Apts, seguita dai settori a medio-alto contenuto tecnologico come farmaceutica, elettronica e meccanica, ma anche da settori più tradizionali del Made in Italy, come il tessile-abbigliamento.
I servizi Ict, tra i grandi protagonisti della transizione digitale, sono in crescita in termini di supporto ai processi industriali, con una penetrazione che in Italia è più forte, ancora una volta, nell’automotive, che distanzia la meccanica. Tra i competitor europei, l’Italia è la nazione che fa registrare, per provenienza geografica dei servizi di mercato a supporto dei processi manifatturieri, il contributo domestico più alto, il 50,2%; superate Germania 43%, Spagna 39,5% e Francia 38,2%.
Determinante anche il contributo dei servizi di matrice estera, con un ruolo chiave giocato dai partner dell’Europa Occidentale, e una crescita dei paesi asiatici (con un contributo dell’8,6% alla catena manifatturiera italiana), guidata dalla Cina. Il contributo cinese è ancora molto sbilanciato verso i servizi di logistica, complementari alla vendita di input manifatturieri, pur includendo anche l’offerta di Apts e di servizi IT (insieme a India e Giappone). Gli Stati Uniti mantengono comunque una solida presenza, specialmente come fornitori di Apts.
Guardando all’export, l’integrazione tra manifattura e servizi risulta ancor più forte ed evidente: in Italia, il valore aggiunto dei servizi di mercato assorbito nei beni manifatturieri destinati all’esportazione era il 38,2% già nella fase pre-Covid, un dato superiore alla media Ue e Ocse. In tutti i settori manifatturieri, il contributo dei servizi all’export supera il 30%.
La terziarizzazione del comparto industriale porta con sé anche un radicale cambiamento e riorganizzazione del capitale umano all’interno delle imprese manifatturiere, dove cresce l’importanza delle figure professionali dedicate allo svolgimento delle attività di servizio. In Italia, i colletti bianchi sono cresciuti del 3% tra il 2011 e il 2022 in rapporto all’occupazione totale (dati Eurostat), soprattutto con riferimento ad alcune professionalità rilevanti per la fase di transizione digitale e ambientale. Spicca nella manifattura italiana una quota significativa di tecnici delle scienze (28%), superiore alla media europea.
Nonostante la crescita di personale sempre più qualificato, c’è ancora un gap da colmare con i concorrenti europei sul fronte degli specialisti Ict (3,8% in Italia, media Ue 4,5%, dati Eurostat 2022), anche in termini prospettici, di formazione di figure professionali che possano accompagnare il percorso di digitalizzazione. L’Italia soffre ancora di modesti tassi di laureati nel settore Ict (1,5%, media Ue 4,2%) e di un numero esiguo di imprese che offre formazione su questi temi ai propri dipendenti (19%, media Ue 22%).
Le carenze sul fronte del capitale umano si traducono oggi in una diffusione ancora limitata di tecnologie avanzate, come i big data (adottati dall’8,6% delle imprese in Italia, contro una media Ue del 14,2%) e l’intelligenza artificiale (6,2% – dove però la strada è ancora lunga anche a livello di Ue27 nel suo complesso, 7,9%), fondamentali per il successo dei processi di digitalizzazione e per realizzare un salto di produttività, sia a livello di singole imprese che di sistema Paese.