A Bucha “ci sono stati certamente gravissimi crimini di guerra e contro l’umanità”, mentre a Mariupol si potrebbe anche parlare di “segni di genocidio come nella regione di Srebrenica”. Flavia Lattanzi, già professoressa ordinaria di Diritto internazionale all’Università degli Studi di Roma Tre ed ex giudice del Tribunale penale internazionale per il Ruanda e per l’ex Jugoslavia, ha le idee chiare su quello che sta accadendo in Ucraina e in un’intervista all’Adnkronos sostiene che “ci sono tutte le condizioni” perché il presidente russo, Vladimir Putin, venga “incriminato”, ma non nasconde la complessità della procedura e anche il rischio che il capo del Cremlino possa evitare il processo.
La situazione in Ucraina è “terribile”, premette la professoressa, ricordando come il procuratore della Corte dell’Aja, Karim Khan, stia raccogliendo le prove e ascoltando i testimoni su tutto il territorio. “La Corte si occupa di rilevare i crimini commessi da chiunque civili o militari, non solo di una parte”, prosegue Lattanzi, che si dice “molto colpita dalle immagini dei corpi in strada” a Bucha e in particolare da quella di “un civile a terra con accanto la bici”.
“Putin ipotizza che questi civili siano stati uccisi dagli ucraini, tutto è possibile, però lo deve accertare un giudice. E’ inutile che si rivolga al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – sottolinea l’ex giudice – Se vuole veramente un accertamento imparziale ratifichi lo Statuto di Roma e accetti la competenza della Corte penale internazionale dell’Aja, che non accerta le responsabilità dello Stato, competenza quest’ultima della Corte internazionale di giustizia, a cui l’Ucraina si è rivolta con riferimento all’accusa di genocidio di Putin nel Donbass”.
Ricordando che la Cpi non è competente per questa aggressione, ma per crimini di guerra di guerra, umanità e genocidio, Lattanzi spiega come in realtà chiamare a rispondere Putin dei suoi eventuali crimini non sia così facile. Per il crimine di aggressione, ricorda la professoressa, “ci vuole il consenso dello Stato a cui appartengono i presunti autori (dei crimini, ndr), ovvero in questo caso la Russia, oppure il Consiglio di Sicurezza può chiedere l’intervento della Cpi, ma c’è un ostacolo, in questo caso il diritto di veto della Russia”.
In ogni caso, evidenzia la professoressa, con le prove raccolte si può arrivare a un atto d’accusa e successivamente all’emissione di un mandato di arresto, “ma la cosa si ferma se Putin non arriva all’Aja cioè se non viene arrestato”, fatto che può accadere se per esempio dovesse venire in Italia, in quanto il nostro Paese è parte dello Statuto di Roma.
Secondo Lattanzi, sebbene ancora non si possa parlare con certezza di crimini di genocidio in Ucraina, non è azzardato fare un paragone tra Putin e l’ex presidente serbo, Slobodan Milosevic, deceduto mentre si trovava in carcere all’Aja, in attesa di essere giudicato dal Tribunale penale internazionale.
“Nei confronti di Milosevic – afferma – venne emanato un mandato d’arresto dal Tribunale per l’ex Jugolsavia, poi lui è caduto ed i serbi l’hanno consegnato. Non mi si può tacciare di parzialità, ma sarei felice se i russi si liberassero di questo deposta e lo consegnassero al Tpi, se ci sarà un mandato d’arresto. E anche se non si riuscisse a trovare le prove che Putin ha ordinato e pianificato crimini di guerra o contro l’umanità, c’è la possibilità ancora residuale di accusarlo di mancata prevenzione e mancata repressione”.
Lattanzi rimarca che “non è mai successo nella storia dei procedimenti del Tribunale penale internazionale che 43 Stati presentassero un ‘referal’ che attiva la Corte, senza il quale sarebbe stata necessaria l’autorizzazione dei giudici delle Camera preliminare per aprire il procedimento e questa grande collaborazione tra Stati facilita molto le cose”.
“Anche noi in Italia dovremmo cercare rifugiati che arrivano, ascoltarli e custodire queste prove per poi condividere le informazioni con la Corte penale internazionale”, conclude.