(Adnkronos) – “Don Lorenzo Milani è stato anzitutto un maestro. Un educatore. Guida per i giovani che sono cresciuti con lui nella scuola popolare di Calenzano prima, e di Barbiana poi. Testimone coerente e scomodo per la comunità civile e per quella religiosa del suo tempo. Battistrada di una cultura che ha combattuto il privilegio e l’emarginazione, che ha inteso la conoscenza non soltanto come diritto di tutti ma anche come strumento per il pieno sviluppo della personalità umana”. Lo ha affermato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del’apertura delle celebrazioni per il centenario della nascita di don Lorenzo Milani.
“Essere stato un segno di contraddizione, anche urticante, significa – ha aggiunto il Capo dello Stato – che non è passato invano fra noi ma, al contrario, ha adempiuto alla funzione che più gli stava a cuore: fare crescere le persone, fare crescere il loro senso critico, dare davvero sbocco alle ansie che hanno accompagnato, dalla scelta repubblicana, la nuova Italia”.
“Don Lorenzo – sottolinea Mattarella – avrebbe sorriso di una sua rappresentazione come antimoderno se non medievale. O, all’opposto, di una sua raffigurazione come antesignano di successive contestazioni dirette allo smantellamento di un modello scolastico ritenuto autoritario. Nella sua inimitabile azione di educatore – e lo possono testimoniare i suoi ‘ragazzi’ – pensava, piuttosto, alla scuola come luogo di promozione e non di selezione sociale. Una concezione piena di modernità, di gran lunga più avanti di quanti si attardavano in modelli difformi dal dettato costituzionale”.
Il sacerdote, dice, “aveva una acuta sensibilità circa il rapporto -che si pretendeva gerarchico – tra centri e periferie. Come uscire da una condizione di emarginazione? Come sollecitare la curiosità, propulsore di maturità? Come contribuire, da cittadini, al progresso della Repubblica? Il motore primo delle sue idee di giustizia e uguaglianza era proprio la scuola. La scuola come leva per contrastare la povertà, anzi le povertà. Non a caso oggi si usa l’espressione ‘povertà educativa’ per affermare i rischi derivanti da una scuola che non riuscisse a essere veicolo di formazione del cittadino”.
“La scuola – ha proseguito il Capo dello Stato – per conoscere. Per imparare, anzitutto, la lingua, per poter usare la parola. ‘Il mondo – diceva don Milani – si divide in due categorie: non è che uno sia più intelligente e l’altro meno intelligente, uno ricco e l’altro meno ricco. Un uomo ha mille parole e un uomo ha cento parole’. Si parte con patrimoni diversi. Da questa ansia si coglie il suo grande rispetto per la cultura. La povertà nel linguaggio è veicolo di povertà completa, e genera ulteriori discriminazioni. La scuola, in un Paese democratico, non può non avere come sua prima finalità e orizzonte l’eliminazione di ogni discrimine”.
E ancora: “‘Lettera a una professoressa’, scritta con i suoi ragazzi mentre avanzava la malattia – che lo avrebbe portato via a soli 44 anni – è un atto d’accusa, impietoso. ‘Lettera a una professoressa’ ha rappresentato una lezione impartita a fronte delle pigrizie del sistema educativo e ha spinto a cambiare, ha contribuito a migliorare la scuola nel mezzo di una profonda trasformazione sociale del Paese. Ha aiutato a comprendere meglio i doveri delle istituzioni e sollecitato a considerare i doveri verso la comunità”.
“Sempre più gli insegnanti, hanno lavorato con passione -ha ricordato il Capo dello Stato- per attuare i nuovi principi costituzionali. Perché a questo occorre guardare. La scuola è di tutti. La scuola deve essere per tutti. Spiegava don Milani, avendo davanti a sé figli di contadini che sembravano inesorabilmente destinati a essere estranei alla vita scolastica: ‘Una scuola che seleziona distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo di espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose’. Impossibile non cogliere la saggezza di questi pensieri. Era la sua pedagogia della libertà”.
Don Lorenzo Milani, “era stato mandato qui, a Barbiana, in questo borgo tra i boschi del Mugello -con la chiesa, la canonica e poche case intorno- perché i suoi canoni, nella loro radicalità, spiazzavano l’inerzia. La sua fede esigente e rocciosa, il suo parlare poco curiale, i suoi modi, a volte impetuosi, lontani da quelli consueti, destavano apprensione in qualche autorità ecclesiastica. In tempi lontani dalla globalizzazione e da internet, da qui, da Barbiana -allora senza luce elettrica e senza strade asfaltate -il messaggio di don Milani si è propagato con forza fino a raggiungere ogni angolo d’Italia; e non soltanto dell’Italia”, ha affermato il Presidente della Repubblica.
Per Mattarella, “il merito non è l’amplificazione del vantaggio di chi già parte favorito. Merito è dare nuove opportunità a chi non ne ha, perché è giusto e per non far perdere all’Italia talenti preziosi se trovano la possibilità di esprimersi, come a tutti deve essere garantito”.
“La scuola di Barbiana durava tutto il giorno. Cercava di infondere la voglia di imparare, la disponibilità a lavorare insieme agli altri. Cercava di instaurare l’abitudine a osservare le cose del mondo con spirito critico. Senza sottrarsi mai al confronto, senza pretendere di mettere a tacere qualcuno, tanto meno un libro o la sua presentazione”, ha poi aggiunto.
Nelle parole di don Milani “non c’era integralismo, piuttosto radicalità evangelica. Sapeva di avere in mano un testimone. Un testimone che doveva passare di mano, a cui poi i suoi ragazzi ‘aggiungessero’ qualcosa. Un grande italiano che, con la sua lezione, ha invitato all’esercizio di una responsabilità attiva”, ha detto ancora Mattarella, aggiungendo: “Il suo ‘I care’ è divenuto un motto universale. Il motto di chi rifiuta l’egoismo e l’indifferenza. A quella espressione se ne accompagnava un’altra, meno conosciuta. Diceva: ‘Finché c’è fatica, c’è speranza’. La società, senza la fatica dell’impegno, non migliora. Impegno accompagnato dalla fiducia che illumina il cammino di chi vuole davvero costruire. E don Lorenzo ha percorso un vero cammino di costruzione”.
“Aveva un senso fortissimo della politica don Lorenzo Milani. Se il Vangelo era il fuoco che lo spingeva ad amare, la Costituzione era il suo vangelo laico. ‘Ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia’. Difficile trovare parole più efficaci”, sottolinea Mattarella.
“Difficile – ha proseguito il Capo dello Stato – non riscontrare lo stretto legame del suo insegnamento con la fede che professava: prima di ogni altra cosa, il rispetto e la dignità di ogni persona. Qui si intrecciano il don Milani prete, l’educatore, l’esortatore all’impegno. L’impegno –educativo, e di crescita- richiede sempre, per essere autentico, coerenza. Spesso sacrificio. Al pari di tanti curati di montagna che hanno badato alle comunità loro affidate, Don Milani non si è sottratto. Era giovane. Chiedeva ai suoi ragazzi di non farsi vincere dalla tentazione della rinuncia, dell’indifferenza”.