Montante, corsa contro il tempo per evitare prescrizione processo

(Adnkronos) – (dall’inviata Elvira Terranova) – E’ corsa contro il tempo nel ‘Maxiprocesso di Caltanissetta’ sul cosiddetto Sistema Montante che vede alla sbarra politici, imprenditori, forze dell’ordine, ma soprattutto l’ex potente presidente degli industriali siciliani Antonello Montante, già condannato in un altro processo per corruzione. Il Presidente del Tribunale di Caltanissetta Francesco D’Arrigo oggi, nel corso dell’udienza, ha annunciato che “da ora in poi” si terranno “quattro udienze al mese, tutte concentrate di lunedì”. Intanto, la prossima udienza si terrà venerdì prossimo, poi un’altra si terrà il 15 maggio e un’ulteriore udienza è prevista per il 29 maggio. Un modo per riuscire a evitare la prescrizione che incombe su alcuni imputati. Sempre oggi è stato ascoltato un teste, il luogotenente della Dia Angelo Bonaffino, che ha parlato di una strana richiesta pervenuta nel 2012 dall’allora capocentro Dia di Palermo Giuseppe D’Agata, imputato, che gli chiese di eseguire delle verifiche su un imprenditore, Giuseppe Moncada, morto un anno fa per un infarto a 59 anni. 

Inizialmente, i processi sul ‘cerchio magico’ di Montante, oggi assente in aula, erano due. Un processo Montante bis e quello ordinario, che vedeva alla sbarra 17 imputati. Nel processo bis erano imputati, oltre all’ex paladino dell’antimafia Antonello Montante, ex presidente di Confindustria Sicilia, l’ex presidente della Regione Rosario Crocetta, gli ex assessori Linda Vancheri e Mariella Lo Bello, l’ex commissario Irsap Maria Grazia Brandara, gli imprenditori Giuseppe Catanzaro, Rosario Amarù e Carmelo Turco, Vincenzo Savastano vice questore aggiunto all’epoca dei fatti della Polizia presso l’ufficio di frontiera di Fiumicino, Gaetano Scillia capocentro Dia di Caltanissetta dal 2010 al 2014, Arturo De Felice, direttore della Dia dal 2012 al 2014, Giuseppe D’Agata, colonnello dei carabinieri, e Diego Di Simone Perricone, ex capo della security di Confindustria. 

Mentre nell’ordinario, erano imputati l’ex presidente del Senato Renato Schifani, oggi Presidente della Regione siciliana, accusato di concorso in associazione a delinquere semplice e rivelazione di notizie riservate. Sotto processo anche l’ex direttore dell’Aisi Arturo Esposito, il caporeparto dell’Aisi Andrea Cavacece, il “re dei supermercati” Massimo Romano, il tributarista Massimo Cuva, il colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata, il sindacalista Maurizio Bernava, gli imprenditori del settore sicurezza Andrea e Salvatore Calì, Rosetta Cangialosi, Carmela Giardina e Vincenzo Mistretta (tre dipendenti di Montante), il poliziotto Salvatore Graceffa; il dirigente di Confindustria Carlo La Rotonda; il maggiore della Guardia di Finanza Ettore Orfanello; il luogotenente Mario Sanfilippo e il colonnello dei carabinieri Letterio Romeo. 

L’ex paladino dell’antimafia, secondo gli inquirenti, avrebbe messo in piedi un vero e proprio ‘sistema’ di potere, ideato e attuato “grazie a una ramificata rete di relazioni e complicità intessuta con vari personaggi inseriti ai vertici dei vari settori delle istituzioni”. Inoltre sarebbe stato al centro di una attività di dossieraggio realizzata, anche grazie a complicità eccellenti, attraverso l’accesso alla banca dati delle forze dell’ordine e finalizzata a ricattare “nemici”, condizionare attività politiche e amministrative e acquisire informazioni su indagini a suo carico. 

Grazie ai suoi contatti e all’influenza che esercitava in alcuni ambienti istituzionali, l’imprenditore avrebbe creato una sorta di rete spionistica: in cambio di favori, esponenti delle forze dell’ordine gli avrebbero dato informazioni su inchieste a suo carico, dritte sui “nemici”, consentito di avere pile di dossier su personaggi influenti. Secondo gli inquirenti Montante sarebbe stato la testa di una sorta di “governo parallelo” in Sicilia, e avrebbe “diretto” la vita politica e amministrativa dell’isola, piazzando suoi uomini in posti strategici. “E’ stato accertato con sufficiente chiarezza – aveva scritto la procura nissena nella richiesta di arresto – che Montante, oltre a promettere e a far ottenere occupazioni lavorative, si prodigasse per soddisfare aspettative di carriera o trasferimenti di sede”. 

Nel processo abbreviato, lo scorso 8 luglio, la Corte d’appello di Caltanissetta dopo 8 ore di Camera di consiglio aveva condannato l’ex presidente di Sicindustria, Antonello Montante, a 8 anni di carcere per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e accesso abusivo al sistema informatico. La corte d’appello di Caltanissetta presieduta da Andreina Occhipinti (a latere Giovanbattista Tona e Alessandra Giunta) aveva condannato a luglio anche i componenti del “cerchio magico”: 5 anni per Diego Di Simone, l’ex ispettore della squadra mobile di Palermo diventato il capo della security di Confindustria. In primo grado aveva avuto 6 anni e 4 mesi. Un’altra condanna anche per Marco De Angelis, sostituto commissario della questura di Palermo: 3 anni e 3 mesi anni, mentre in primo grado ne aveva avuto 4. Anche lui avrebbe avuto un ruolo determinante nell’attività di ‘spionaggio’. 

Nell’udienza di oggi, come detto, ha deposto il luogotenente della Dia di Agrigento Angelo Bonaffino, che ha ricordato quanto accadde 11 anni fa quando l’allora capocentro della Dia di Palermo Giuseppe D’Agata “venne a farci visita alla sezione operativa di Agrigento. E in quella circostanza, il colonnello ci chiese di valutare l’ipotesi di attenzionare l’imprenditore Giuseppe Moncada per una eventuale proposta di misura di prevenzione patrimoniale. Già avevamo un enorme carico di lavoro di Misure di Prevenzione patrimoniale e in quella circostanza non demmo seguito ad eventuali accertamenti. Già in passato avevamo fatto delle verifiche e non erano emersi elementi di pericolosità sociale di Moncada. Però. facemmo ulteriori accertamenti finalizzati alle investigazioni patrimoniali, ma anche in quella circostanza non erano emersi elementi di pericolosità sociale. Io questa pericolosità sociale non l’avevo riscontrata. Così comunicai l’esito al caposezione, dicendo che non c’erano i presupposti per avviare una misura patrimoniale”, ha detto il luogotenente deponendo all’aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta. 

Il colonnello Giuseppe ”Pino” D’Agata, un ufficiale dei carabinieri entrato nell’Aisi dopo avere ricoperto l’incarico di capo centro della Direzione Investigativa Antimafia di Palermo. Per i pm Maurizio Bonaccorso e Claudia Pasciuti, D’Agata avrebbe fatto parte del ‘cerchio magico’ di Montante, per conto del quale avrebbe fatto delle investigazioni. Nel corso delle indagini, si è così scoperto che ci sarebbe stato anche l’imprenditore agrigentino Giuseppe Moncada, morto nel 2022, nel mirino delle indagini pilotate da Montante, “capace di indirizzare il lavoro di alcuni importanti investigatori”, come spiegano gli inquirenti. Oppure di sfruttare una sorta di rete di spionaggio per l’attività di dossieraggio contro i suoi “nemici”. Il suo piano, secondo gli investigatori, sarebbe stato ”funzionale ad attivare nei confronti di questi ultimi procedimenti penali o per l’applicazione di misure di prevenzione al fine di arrecare loro nocumento, atti da considerarsi contrari ai doveri d’ufficio in quanto adottati in violazione delle regole che disciplinano l’esercizio del potere discrezionale loro attribuito. 

‘Moncada, in passato, raccontò di essere stato avvicinato da Giuseppe Catanzaro, pure lui sotto processo a Caltanissetta, l’imprenditore dei rifiuti che qualche anno dopo avrebbe preso il posto di Montante in Sicindustria. Per non avere intoppi nel progetto per un parco eolico a Gela, così disse Moncada, avrebbero dovuto lavorare insieme. Alla fine decise di andarsene. “Ha idea del perché D’Agata indicasse il nome di Moncada?”, ha chiesto oggi la pm Claudia Pasciuti al luogotenente Bonaffino. “Il colonnello ha parlato di questo imprenditore e ha detto che poteva essere un obiettivo, ma non specifico, se potesse essere collegato con la criminalità organizzata”, ha replicato il sottufficiale. “Non era mai successo che il capocentro desse un nome da attenzionare”, ha aggiunto. E ancora: “Ho saputo de relato che erano state fatte annotazioni sul conto di Moncada”. Nel corso del controesame, rispondendo all’avvocato Giuseppe Dacquì, se avesse avuto delle sollecitazioni da parte del colonnello D’Agata sulle verifiche nei confronti dell’imprenditore Moncada, il teste ha risposto: “No”.  

”Io mi sono allontanato da Confindustria perché ho detto chiaramente di non volere avere a che fare con la mafia dei colletti bianchi”, disse Salvatore Moncada in una intervista. Andò poi via dall’associazione siciliana degli industriali sbattendo la porta. Ce l’aveva con quel ‘sistema di Antonello Montante’, di cui le cronache si sarebbero occupate un decennio dopo quelle affermazioni. Oggi non sono mancate le scintille in aula tra accusa e difesa. Il processo è stato rinviato a venerdì prossimo, 12 maggio.  

(Adnkronos)