Due ragazze che denunciano per stupro di gruppo quattro giovani appena conosciuti in discoteca, la Costa Smeralda, il passaggio in macchina, il racconto delle violenze sessuali ai pm di Tempio Pausania. Sembra la storia-fotocopia dell’inchiesta per violenza sessuale che vede tra gli indagati Ciro Grillo, il figlio del garante del M5S, e tre suoi amici. Stessa Procura, stessi racconti, stessi verbali, stesso periodo (luglio 2019), la presenza di un video e di chat. Ma qui l’esito è diametralmente opposto. Se per Grillo junior e i suoi amici la Procura sarda, dopo quasi due anni di indagini, ha chiesto il rinvio a giudizio, per i quattro giovani campani accusati dalle due giovani gli stessi pm hanno chiesto l’archiviazione. Le presunte vittime non ci stanno e parlano di “decisione assurda. Perché noi non siamo state credute?”.
Ma cosa è successo nella notte tra l’8 e il 9 luglio di due anni fa sulla spiaggia di Baja Sardinia a Porto Cervo, a poca distanza dalla villa in cui una settimana dopo sarebbe avvenuto lo stupro di gruppo sulla ragazza italo-norvegese e un’amica? Sono le due di notte e due amiche ventenni, che fanno le animatrici turistiche in Costa Smeralda, vanno in discoteca, bevono due o tre cocktail, e ballano fino alle quattro del mattino. Qui incontrano quattro ragazzi, aitanti, palestrati, sorridenti. Iniziano a parlare. Poi, i giovani propongono alle due ragazze di andare in spiaggia, che dista appena pochi minuti. Qui, però, inizia, secondo il racconto delle ragazze, un incubo che dura un’ora. Violenze sessuali di gruppo, abusi di ogni tipo, secondo la loro versione. Accade tutto nella notte tra l’8 e il 9 luglio del 2019, cioè appena otto giorni prima del presunto stupro di gruppo che vede tra i protagonisti Ciro Grillo, il figlio del garante del M5S, e altri tre amici.
Due casi fotocopia, secondo le vittime ma con due epiloghi differenti. A leggere gli atti ci sono molte similitudini tra le due vicende: l’incontro in discoteca, quattro aitanti ragazzi che invitano due belle ragazze a seguirli. E poi tutto il resto che si trova nelle centinaia di pagine di verbali, che l’Adnkronos ha visionato. Lo stupro, presunto. Un video di una trentina di secondi, le lacrime della ragazze, tante. Il diniego degli indagati che parlano di “consenso”. Le due inchieste, parallele, sono coordinate dalla stessa Procura, quella di Tempio Pausania, guidata da Gregorio Capasso. “Sono due casi fotocopia, eppure per il figlio di Grillo è stato chiesto, giustamente, il processo, e per gli stupratori di mia figlia, l’archiviazione. Perché? Hanno fatto un gran casino sul caso di Grillo, giustamente. Invece per gli stessi fatti, i quattro giovani che hanno distrutto l’esistenza di mia figlia, vanno archiviati”, dice la madre di ‘Giulia’ (il nome è di fantasia), una delle due vittime.
Anche la figlia è molto arrabbiata: “Io prendo ancora ansiolitici, soffro di depressione, non dormo. Ho gli incubi. E loro rischiano l’archiviazione. Perché? Io non ci sto, vado avanti finché non avrò giustizia”. Ecco perché le due ragazze hanno presentato opposizione alla richiesta di archiviazione. L’udienza davanti al gup, diverso da quello del caso Grillo, si terrà il prossimo 14 settembre, dopo un rinvio dovuto a un difetto di notifiche.
Ma per la Procura di Tempio Pausania non ci sono dubbi. Se per le vittime e i loro parenti, ma anche per l’avvocato Giovanna Porcu, i casi sono uguali, per il Procuratore Gregorio Capasso qui non ci sarebbero gli estremi per chiedere il processo. Sarà adesso il gup a decidere se i quattro indagati meritano il processo o l’archiviazione. Secondo la Procura “non sono emersi elementi obiettivi – come si legge nella richiesta di archiviazione a firma del Procuratore Gregorio Capasso e della pm Ilaria Corbelli – idonei all’incolpazione dei responsabili e nemmeno sufficienti a dimostrare la consumazione del reato in trattazione”.
Insomma, per la Procura di Tempio Pausania, la stessa che indaga su Grillo Junior, “l’attività di indagine compiuta non solo non ha consentito di acquisire elementi di prova sufficienti per ritenere integrate e comunque dimostrate e dimostrabili le ipotesi di reato, bensì ha anche messo in luce una serie di incongruenze tali da indurre gli investigatori a dubitare della obiettiva corrispondenza a realtà del vissuto delle vittime, sì come descritto dalle dichiarazioni delle stesse, o quantomeno della oggettiva percepibilità dello stesso, sì da condurre a valutare lo stesso sotto due diversi profili: uno emozionale, che vede le due ragazze sicuramente offese secondo la loro percezione dei fatti e, quindi, secondo una soggettiva elaborazione del ricordo. L’altro, critico, asettico e razionale, al quale deve attenersi questo pubblico ministro nel valutare analiticamente i fatti”.
Venerdì, 9 luglio, intanto, ci sarà l’udienza preliminare a carico del figlio di Beppe Grillo, Ciro, e dei suoi tre amici, Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia. Tutti accusati di violenza di gruppo. Come nel caso dei quattro campani accusati dalle due ragazze. Solo che i pm in quest’ultimo caso, a differenza del Grillo-gate, non hanno dubbi: i quattro indagati non devono andare a processo.
Ci sono, però, anche le perizie dello psichiatra e della psicologa che hanno in cura Giulia, da circa due anni. “Giulia è in trattamento a seguito degli esiti traumatici di un episodio di violenza sessuale di gruppo accaduto il 9 luglio 2019 – scrive la psichiatra – Da quel momento la ragazza presenta sintomi depressivi importanti, angoscia, ansia, insonnia, sogni traumatici, fobia sociale, paura di stare da sola, ha il timore di essere violentata”. E ricorda che prende numerosi psicofarmaci.
Lo stesso la psicoterapeuta: “Ha iniziato a manifestare a seguito di un grave evento traumatico (violenza fisica), sintomatologia ascrivibile a disturbo post traumatico da stress, caratterizzata da fenomeni dissociativi, labilità dell’umore, incubi notturni, stato di allarme. La severità del quadro clinico ha reso necessario il trattamento specialistico in ambiente ospedaliero nel dicembre 2019 e aprile 2020”.
Ma per i pm non c’entrerebbe quello che è accaduto la notte dell’8 luglio su una spiaggia in Costa Smeralda: “Difetta la prova di una condotta violenta o minacciosa in ogni sua forma da parte degli indagati, apparendo al contrario la condivisone delle decisioni e agiti tra questi e le persone offese. Gli elementi acquisiti, risultano, dunque, insufficienti per giudicare integrate e comunque dimostrate e dimostrabili le ipotesi di reato rubricate, per assenza della prova sia della violenza o minaccia sia della costrizione a subire la violenza sessuale, elemento costitutivo sul versante oggettivo del fatto di reato, tale da determinare innanzitutto un difetto di prova sulla sussistenza del fatto”.
La Procura ricorda poi che “la scelta di recarsi in acqua appartiene autonomamente alle persone offese” cioè alle due ragazze “e non è stata un alcun modo indotta dagli indagati” e “in secundis, anche laddove volessere ritenersi integrato in questo l’evento costrittivo, dalla documentazione in atti, punctum dolens dell’impianto accusatorio sarebbe pur sempre costituito dalla prova dell’elemento psicologico del reato in capo agli indagati”.
Dunque, per i pm ci sarebbero “evidenti incongruenze tra i fatti immortalati e le dichiarazioni delle vittime” tali da “insinuare una serie di dubbi più che ragionevoli”. Ma le due vittime non ci stanno e parlano di “ingiustizia”. “Sono stata stuprata da quattro energumeni in acqua, e se mi fossi ribellata rischiavo di affogare. Forse è stata colpa mia?…”, dice Giulia con le lacrime agli occhi. (di Elvira Terranova)