Ostaggi Hamas, ecco perché Israele ha cambiato idea

Negli ultimi giorni c’è stata una netta “inversione di rotta” nella posizione dei vertici della Difesa di Israele – dal ministro Yoav Gallant al capo di Stato maggiore Herzi Halevy e, in misura minore, il capo dello Shin Bet Ronen Bar – riguardo l’accordo per la liberazione degli ostaggi nelle mani di hamas. Questione in un primo tempo che consideravano “all’ultimo posto” nelle priorità della guerra, sottolinea il quotidiano Haaretz in un editoriale, ma che poi ha scalato la classifica sulla spinta delle proteste dei familiari e delle pressioni dell’Amministrazione Usa.

Una settimana fa, ricorda il giornale, i ministri Gadi Eizenkot e Benny Gantz erano in minoranza nel gabinetto di guerra nel sostenere la necessità di accettare l’intesa. Tra gli alti funzionari della Difesa, solo il coordinatore per i prigionieri e le persone scomparse, Nitzan Alon, e il capo del Mossad, David Barnea, erano d’accordo con loro. I termini dell’intesa non sono cambiati nell’ultima settimana. Ciò che è cambiata è la posizione israeliana, evidenzia Haaretz.

Nella prima fase della guerra, Gallant e Halevy erano determinati a colpire Hamas, spinti dal “terribile senso di colpa” per la loro responsabilità per la strage del 7 ottobre. L’impressione era che alcuni alti funzionari credessero che le continue incursioni di terra avrebbero portato a un miglioramento delle condizioni per gli ostaggi, senza essere in grado di spiegare come ciò sarebbe accaduto.

La settimana scorsa è successo qualcosa, fa notare il giornale israeliano, secondo cui la ‘battaglia’ delle famiglie dei rapiti si è intensificata e ha ottenuto un crescente sostegno pubblico grazie alla marcia da Tel Aviv a Gerusalemme e ad altri grandi manifestazioni. Il ministero della Difesa e i vertici dell’esercito si sono resi conto che insistere con le operazioni di terra senza concedere una pausa ai combattimenti per liberare gli ostaggi avrebbe esacerbato la spaccatura interna.
Qui è entrato in gioco il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, tramite la Cia. Biden ha contribuito a chiudere l’accordo – la cui entrata in vigore è stata rinviata a domani – con l’aiuto del Qatar. Secondo Politico, l’obiettivo della Casa Bianca è approfittare della tregua per riportare a casa più ostaggi.

Haaretz indica in domenica scorsa la giornata chiave in cui è maturata la svolta dei vertici della Difesa, che “mercoledì erano già in prima fila per prendersi il merito della mediazione riuscita”. Anche il partito Sionismo Religioso ha ribaltato la sua posizione, mentre Itamar Ben-Gvir e Otzma Yehudit sono rimasti contrari all’accordo. In questo caso la questione non è solo ideologica, ma politica. Ben-Gvir ha notato il grande spazio che si è aperto a destra del premier Benjamin Netanyahu e intende approfittarne per distinguersi dai suoi rivali.

Il contesto è il futuro della Cisgiordania dopo la guerra. La destra teme che, se Hamas verrà sconfitto a Gaza, gli Stati Uniti faranno pagare a Israele un prezzo in Cisgiordania sotto forma di un nuovo accordo con l’Autorità nazionale palestinese. Un simile accordo potrebbe includere il ripristino di una missione dell’Anp nella Striscia di Gaza, a cui Netanyahu finora si è sempre detto contrario.

Secondo Haaretz, i coloni sono nel panico per il possibile rafforzamento dell’Anp. Hanno paura di perdere il controllo della sicurezza in Cisgiordania, il che potrebbe portare ad un attacco palestinese di massa contro gli insediamenti isolati nella regione. Per questo la destra sta ora cercando di lanciare un nuovo slogan: Isis uguale Hamas uguale Anp.

(Adnkronos)